Vassalli, lo scrittore che reinventava la memoria

È morto l’autore della “Chimera”, vincitore del Premio Strega. Aveva 73 anni ed era candidato al Nobel per la letteratura

NOVARA. È morto la notte scorsa all'ospedale di Casale Monferrato lo scrittore Sebastiano Vassalli. Aveva 73 anni ed era malato da tempo. Vincitore del Premio Strega, verrà sepolto domani a Novara con una cerimonia laica e sobria, come voleva lui. La casa editrice novarese Interlinea ha organizzato un reading non stop del suo capolavoro “La chimera” durante la camera ardente. A settembre avrebbe dovuto ritirare a Venezia il Premio Camnpiello alla carriera.

di ALESSANDRO MEZZENA LONA

La sua visione della letteratura era tutta lì, in quella frase. Quando il bambino del suo romanzo “L’oro del mondo” si rivolge allo zio per chiedergli che senso abbia vivere. E l’uomo risponde: «Per la nostra memoria, e per che altro? Per quelle poche pagliuzze di felicità che rimangono in fondo alla memoria, come l’oro sul fondo della bàtea».

Ecco, la memoria, appunto. Era quello il filo conduttore di un’opera letteraria che era iniziata sotto il segno della sperimentazione. Perché Sebastiano Vassalli, nato a Genova il 24 ottobre del 1941, morto l’altra notte in ospedale dopo aver tenuto nascosta a tutti la sua malattia, prima si era laureato a Milano discutendo con Cesari Musatti una tesi dedicata all’arte e alla psicoanalisi. E poi, giovanissimo, si era avvicinato al Gruppo 63, l’ultima avanguardia credibile che il mondo culturale italiano abbia partorito. Le sue prime prove narrative assai ardite, come “Narcisso” e “Tempo di massacro”, sono lì a dimostrare tutto il coraggio ad andare controcorrente nel periodo a cavallo tra il finire degli anni ’60 e l’inizio dei ’70.

Uomo solitario, figlio di nessuno come amava definirsi («Sono frutto di una gravidanza non voluta. Credo che mia madre abbia fatto di tutto per espellermi. Ma io, aggrappato alle viscere, ho resistito»), legato a ricordi tormentosi («Mio padre era un nullafacente. Dedito, durante la guerra, alla borsa nera, e poi non so. Fascista, sempre dalla parte sbagliata»), sapeva raccontare la sua vita con una vena dissacrante. Della cerimonia di laurea ricordava che «Gillo Dorfles voleva bocciarmi. Infieriva come un volpino assatanato. Musatti taceva: solo alla fine si è opposto, ma mi ha abbassato il voto. A me andava bene anche così».

La memoria lo aveva portato presto sulla strada del romanzo. Quello tradizionale certo, ma animato dalla capacità di stare in equilibrio tra la Storia e le storie. Tra fatti documentati e avvenimenti minimi. Accantonati gli sperimentalismi, Vassalli si era fatto strada con libri come “La notte della cometa”, splendido omaggio al poeta “matto” Dino Campana, con “L’oro del mondo”, ma soprattutto con “La chimera”, storia di una ragazza troppo giovane e bella finita nel 1600 tra le grinfie dell’Inquisizione. Processata e accusata di stregoneria. Quel gioiello narrativo, entrato tra le letture consigliate dalle scuole italiane accanto ai classici, gli aveva portato la gioia di vincere lo Strega e di andare in finale al Campiello.

Seguirono “Marco e Mattio, “Il cigno”, “Stella avvelenata”, “Le due chiese”, “Terre selvagge” e un’inchiesta sulla complessa convivenza tra italiani e tedeschi in Alto Adige: “Sangue e suolo”. Tema ripreso nel suo libro più recente: “Il confine”.

Tra poco più di un mese, Vassalli avrebbe ricevuto a Venezia il Campiello alla carriera. Nello stesso periodo uscirà il suo libro nuovo: “Io, partenope”. E quest’anno era arrivata anche la candidatura al Nobel per la letteratura.

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