“Una stirpe incognita” due inediti di Pessoa mai pubblicati al mondo

di MARY B. TOLUSSO C’è un unico poeta che nel XIX secolo è riuscito a scomparire per essere ancora più evidente, mettendo quasi in pratica su se stesso l’insegnamento di Poe nella "Lettera rubata". E...
Di Mary B. Tolusso

di MARY B. TOLUSSO

C’è un unico poeta che nel XIX secolo è riuscito a scomparire per essere ancora più evidente, mettendo quasi in pratica su se stesso l’insegnamento di Poe nella "Lettera rubata". E Poe, appunto, era un autore che Pessoa amava molto. Così il titolo sembra alquanto appropriato, "Una stirpe incognita" di Fernando Pessoa, appena uscito per le Edizioni Edb di Milano, nella serie di ricerca poetica curata da Alberto Pellegatta: «Grazie a Casa Pessoa - confida il curatore di collana - anche in Italia ci sono dei nuovi inediti, di cui due inediti assoluti». Proprio così. Il piccolo volume contiene infatti dei testi mai tradotti in Italia, due di questi mai pubblicati al mondo, nella versione di Antonio Cardiello.

Ci troviamo quell’etoregeneità stilistica di cui il grande poeta portoghese era maestro, testi diversi per stile e genere, ma sempre riconoscibili per quella sorta di illuminazioni sostenute da ossimori e contraddizioni. Per esempio il fatto che "esprimersi è dire quello che non si sente", da cui "fingere è conoscersi". Un percorso parallelo sono anche i disegni dello stesso Pessoa e di Massimo Dagnino, che accompagnano la silloge.

Una sinfonia breve ma perfetta questo piccolo gioiello che vede ora la luce, divisa in due parti, l’ultima dedicata ai principali eteronimi: Alvaro De Campos, Riccardo Reis, Alberto Caeiro, il maestro fra gli eteronimi. E a lui infatti è affidata anche la lirica più bella, un misto di semplicità e conoscenza, d’altra parte Caeiro è il poeta contadino, che miracolosamente riesce a esprimersi come se l’Illuminismo facesse un giro di valzer con il senso panico. Il mistero di Pessoa sta proprio lì, nelle sue istanze contradditorie, nelle sue biografie fasulle ma reali, in ciò che la scrittura riusciva a rivelare. Perché è sempre la scrittura che rivela e che, in questo caso, ci rivela il poeta, mai la vita come diceva Bloom. Scrive Cardiello nell’introduzione, quanto «i suoi snodi concettuali sottendono la necessità di ricodificare categorialmente l’uomo e le sue facoltà», e poi l’avversione a ogni totalitarismo politico e fondamentalismo religioso.

I due testi inediti, i primi della raccolta, ci restituiscono il Pessoa più razionalista, dedito alla riflessione filosofica con quell’intuito logico da artista però, non privo di raffinata ironia. Il poeta non è mai in ombra. Ci spiega le differenze tra religione e istinto religioso. O ancora come la sensibilità contemporanea di ogni profeta annulli per principio la possibilità di leggere il futuro. Ma tutta la raccolta ci regala la capacità di tradurre in universale l’individuale, in fondo la vicenda di Pessoa si concentra in poche strade, come ricorda Pellegatta, riferendosi anche a quella popolare "Tabaccheria", posta dall’altra parte della strada, a cui l’autore deve il contrasto tra reale e onirico, quest’ultimo sempre vissuto come realtà. E questi nuovi inediti sono un’ulteriore risposta, una messa a fuoco dei luoghi comuni, con spirito lievemente stirneriano, a farci capire il falso valore che diamo a parole come "umanità", "collaborazione", "eccesso", "infinito", "eternità". A dirci la difficoltà di ogni risposta, e come la poesia, al pari della scienza, può vantare almeno l’umiltà di non conoscere la causa di qualunque cosa. Da cui la ricerca. Da cui la meraviglia: «Falso è parlare di infiniti, come se sapessimo cosa sono». Come se li potessimo intendere.

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