Una goriziana svela le armi segrete del vero influencer

Mariaisabella Musulin con Omar Rossetto pubblica per Hoepli un libro in cui racconta i meccanismi della scalata ai social. «Vi spiego come conquistare il grande mercato del Web»
Mariaisabella Musulin
Mariaisabella Musulin

GORIZIA Non solo Chiara Ferragni: il popolo degli “influencer”, le persone che attraverso i propri social media possono raggiungere un vasto pubblico e indirizzarne scelte e acquisti, è vasto e variegato. Lo spiega il libro “Influencermania” di Mariaisabella Musulin e Omar Rossetto (Hoepli Editore, pagg. 174, euro 19,90) che esplora con chiarezza e piglio pragmatico la storia e le strategie dell’ “influencer marketing”, svelandoci una delle professioni più proficue della rete e come le aziende utilizzano queste nuove figure per sponsorizzare i loro prodotti, a colpi di post. Non è solo un volume per professionisti del settore, ma per tutti quelli che hanno frequentato almeno una volta un social media, cioè la maggior parte di noi, come dimostrano i dati: Facebook in Italia conta circa 35 milioni di utenti, Instagram 22 milioni. Mariaisabella Musulin, goriziana, ha cominciato a guardare da vicino il fenomeno degli influencer con la sua startup “Just X”. Dopo il corso di Economics and Management of Innovation all’Università degli Studi di Trieste e l’ingresso nell’agenzia di web marketing Velvet Media di Castelfranco Veneto, Mariaisabella continua a lavorare dalla sua casa di Duino: «Col digitale si può lavorare da qualsiasi parte del mondo. E io ho deciso di svegliarmi e trovarmi sul mare ogni mattina», dice.

Mariaisabella, chi è un influencer?

«È una persona che esercita una determinata sfera di influenza su un bacino d’utenza più o meno grande. Tutti possono essere considerati influencer, dalla mamma con i propri figli all’attore col suo vasto pubblico. Quando parliamo di influencer marketing, però, consideriamo questa figura inserita all’interno del contesto dei social media: Facebook, Instagram, Tik Tok».

Il primo nome che viene alla mente è sempre Chiara Ferragni…

«Certo, ma esistono varie tipologie di influencer che hanno una base di fan più ridotta, con un target più specifico: un vantaggio per le aziende che li scelgono, perché si ha più controllo del pubblico e il budget richiesto per la sponsorizzazione è più contenuto. Chiara Ferragni, grazie ai suoi milioni di followers, è entrata nella categoria delle celebrity, ha travalicato di slancio i limiti dell’influencer sui social media raggiungendo un range vastissimo di attività: il documentario (“Chiara Ferragni Unposted” di Elisa Amoruso, ndr), una canzone, la pubblicità. È una vera e propria imprenditrice digitale».

I testimonial, però, nella pubblicità sono sempre esistiti: qual è la differenza con gli influencer?

«Per capirlo, nel libro facciamo anche un po’ di storia. Nell’Inghilterra del 1760 il signor Wedgwood mandò le sue porcellane alla moglie di re Giorgio III, la regina Charlotte, e la stampa ne diede notizia: con la pubblicità fatta dalla casa reale, quelle porcellane sono state vendute in tutta Europa. Dalla regina a Virna Lisi con il Clorodont, da Mike Bongiorno con la grappa agli sportivi con gli orologi, si tratta però sempre di persone già note, mentre nel caso dell’influencer marketing vengono coinvolte nella sponsorizzazione persone normali che si sono create una notorietà online in forma autonoma».

Se prima il pubblico sentiva una spinta “aspirazionale” a consumare lo stesso prodotto del vip, con l’influencer si fa leva sull’identificazione…

«Sì, anche perché le persone normali ispirano più fiducia. L’influencer è percepito come uno di noi, e quindi gli permettiamo anche di entrare con i suoi social media nella nostra intimità, cioè il nostro telefonino».

Ma quanto c’è di vero nei post degli influencer che scorriamo sui cellulari?

«La forza di un influencer è la spontaneità, il risultare vero. In alcuni casi sono proprio come si mostrano, in altri meno. Del resto sui social difficilmente si pubblica il lato brutto della vita. Mi ha divertito vedere come il lockdown abbia fatto da equalizzatore sociale. Tutti eravamo in casa: anche gli influencer dovevano farsi i selfie in bagno, invece che in posti esotici. Alcuni poi riescono a raccontare anche le proprie debolezze: lì, per il pubblico, è il tripudio del coinvolgimento».

Quali sono gli influencer più bravi del momento, quelli che segue anche lei?

«Tralasciando le celebrity, l’esempio che guardo spesso è Stefano Guerrera, che ha inaugurato su Instagram la serie “Se i quadri potessero parlare” e ha sempre seguito sponsorizzazioni sui temi di tecnologia e bellezza. Se lui mi racconta di quanto un certo telefonino sia meglio di un altro, mi fido di lui perché mi dà una sensazione di naturalezza, come se mi parlasse un amico». —
 

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