Un esule da Pola e un cantierino di Tito nell’indagine istriana del detective Ponzetti
Una pistola della seconda guerra mondiale e una misteriosa lettera ritrovate nella cassaforte della casa romana di un anziano geometra dopo la sua morte, sono gli elementi che mettono in moto la curiosità del commissario Ponzetti, il protagonista dei gialli di Giovanni Ricciardi. Questo poliziotto riflessivo e paziente, che ricorda molto il commissario Maigret per la sua capacità di indagine psicologica, riuscirà a sbrogliare una intricata matassa nella quale trovano posto l’esodo istriano, gli operai di Monfalcone che andarono in Jugoslavia a cercare il comunismo, Maria Pasquinelli, la donna che uccise a Pola nel 1947 il generale inglese de Winton, la figlia del fondatore del ‘Piccolo’, gli archivi dell’istituto tecnico ‘da Vinci’ e le saline di Sicciole.
‘La vendetta di Oreste’ (Fazi editore, 221 pagg., 16 euro) è senza dubbio un romanzo storico e va dato atto a Giovanni Ricciardi, professore di greco e latino in un liceo di Roma e autore di romanzi gialli che vedono il commissario Ottavio Ponzetti il protagonista di una fortunata serie di romanzi di avere raccolto una bella sfida. Adesso che a poco a poco le vicende del confine orientale sono uscite dall’oblio, e anche nel resto d’Italia i drammi della Venezia Giulia e dell’Istria cominciano a essere conosciuti, Ricciardi ha tentato un esperimento, far transitare questo corposo magma di avvenimenti dai libri di storia alle pagine della narrativa. Un azzardo, perché presuppone che i lettori abbiamo un minimo di padronanza del quadro complessivo, ma anche un’opportunità, perché l’intrecciarsi di tante vicende che hanno avuto per teatro l’Adriatico settentrionale nel corso del Novecento offre spunti innumerevoli all’esercizio del racconto. Ecco quindi che Marco, il figlio del geometra Oreste Zarotti, ritrovata una vecchia pistola e la lettera di una donna rivolta a un misterioso Ulisse, si rivolge al commissario Ponzetti. La scoperta di questi cimeli, che arrivano da un antico passato, apre uno squarcio inaspettato e inquietante in una vita di cui Marco finora sapeva solo che Oreste era nato a Pola, che aveva abbandonato dopo il passaggio della città alla Jugoslavia ed era andato esule in Italia come migliaia di altri suoi connazionali. Giunto a Roma, aveva vissuto nel quartiere Giuliano-Dalmata e in mezzo agli altri profughi aveva conosciuto una ragazza che aveva sposato. Una vita tranquilla, ma solo apparentemente. Perché le indagini di Ponzetti, aiutato dalla figlia Maria, lo portano a scoprire sempre nuovi piccoli tasselli che lo allontanano dall’identità che Oreste si era accreditato agli occhi di parenti e colleghi di lavoro. Maria giunge a Trieste e da una ricerca negli archivi del ‘da Vinci’ scopre degli indizi che farebbero pensare che in realtà Oreste fosse stata un’altra persona, Ulisse Visintin, nato a Monfalcone e trasferitosi nel 1947 a Pola per seguire il padre, lavoratore del cantiere e come tanti altri comunisti allora, inviato dal partito in Jugoslavia per rimpiazzare gli italiani che avevano scelto di non rimanere sotto il regime di Tito. Ma la rottura tra Stalin e il maresciallo jugoslavo fu una disgrazia per molti di quegli ex cantierini, che finirono imprigionati a Goli Otok. La fuga di Ulisse da Pola e la sua rinascita come Oreste nasce da questo dramma e da un omicidio che coinvolge la figlia di un ambasciatore svedese e la polizia politica jugoslava.
Come si vede sono tanti i temi che la vicenda vuole portare alla ribalta. Da queste parti la Storia, è noto, ha un peso che schiaccia, e tanti fili possono soffocare. È quindi comprensibile che Ricciardi avverta la necessità di spiegare le vicende in modo esauriente, ma sforzandosi di essere il più possibile chiaro, corre qualche rischio di cadere nel didascalismo. La mano dell’autore riesce comunque ad orchestrare la trama, che come gli altri suoi libri nasce, oltre che da suggestioni, immagini della memoria, storie che ha sentito raccontare, dal desiderio di far sentire il peso del fattore umano. Oreste/Ulisse sa che solo il commissario Ponzetti, per la sua capacità di entrare nell’animo degli altri, di capire gli uomini per quello che sono, potrà restituirgli, anche se dopo la morte, l’identità che aveva voluto cancellare. —
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