Tutti in coda per la conferenza di Barbero su Napoleone

Non c'erano dubbi. L'atteso pienone si è materializzato già a mezzora dall'inizio dell'evento: è stata una mattinata all'insegna delle code per entrare al teatro Verdi per assistere alla conferenza di Alessandro Barbero in programma alle 11. Oggi, domenica 23 febbraio al Verdi, è andato in scena il nuovo appuntamento con il ciclo delle Lezioni di Storia, promosse dal Comune di Trieste, ideate dagli Editori Laterza con il contributo della Fondazione CRTrieste, la sponsorizzazione di Trieste Trasporti e la media partnership de “Il Piccolo”. La settima lezione del ciclo dedicato quest’anno a “I volti del potere” ha visto protagonista Alessandro Barbero, che ha trattato il tema “Napoleone. Il potere delle idee”, introdotto dal giornalista Pietro Spirito. Tutte le lezioni sono registrate e messe a disposizione dei lettori sul sito de “Il Piccolo”. Venti posti nelle prime file sono stati riservati alla community Noi Il Piccolo.
Qui l'approfondimento di Paolo Marcolin sul tema
Paolo Marcolin
Napoleone non ha mai smesso di suscitare passioni. È stato odiato e amato in modo trasversale e per motivi contraddittori. Per molti ha incarnato la Rivoluzione francese e la laicità dello stato, e per questo è stato osteggiato come il simbolo dello spirito rivoluzionario. Altri invece lo hanno amato perché ritenevano avesse tradito la Rivoluzione e riportato l’ordine in una Francia dove la ghigliottina aveva fatto troppi morti. Le sue idee hanno diviso fino all’ultimo. A Waterloo, dove si concluse la sua parabola, gli ufficiali francesi erano convinti di avere combattuto una battaglia decisiva per la libertà dell’Europa; ma anche gli ufficiali inglesi, che lo sconfissero, pensavano di battersi per lo stesso ideale.
A Napoleone, e al “potere delle idee”, sarà dedicata la lezione che il professor Alessandro Barbero terrà domani alle 11 al teatro Verdi. Lo storico piemontese, scrittore e divulgatore seguitissimo, ripercorrerà il percorso politico e militare di Napoleone e ne metterà in luce i suoi aspetti contradditori. Ma al generale corso, contraddirsi interessava poco. “Sono un uomo pratico che afferra gli eventi e li spinge lontano fino dove posso arrivare”, aveva detto di sé stesso, con ciò spiegando come dai suoi esordi come rivoluzionario con Robespierre fosse giunto, solo dieci anni dopo, a incoronarsi imperatore a Notre Dame. Non era appunto un ideologo, chiosa Barbero. «Quest’uomo pragmatico dopo la campagna d’Italia, da dove era tornato carico di gloria, si rese conto che i francesi cominciavano a essere stanchi della Rivoluzione, dei litigi dei politici e della ghigliottina». Napoleone intuì che il Paese desiderava essere guidato da un uomo forte con alle spalle un esercito carico di gloria. Così, quando il 18 brumaio 1799 avvenne il colpo di stato, quasi tutta l’opinione pubblica ne fu contenta, perché era stufa delle scomodità della Rivoluzione e desiderava la pace. Molti però abbandonarono la Francia, come madame de Stael, che ha lasciato una interpretazione del successo di Napoleone. «Non lo amavano – aveva scritto – ma lo preferivano; egli si è fatto sempre offerto in concorrenza con un’altra paura, per fare accettare la sua potenza come il male minore». Una volta al potere, Napoleone rassicurò una Francia ancora scossa dal sangue del Terrore. Abolì la festa del 21 gennaio, anniversario della esecuzione di Luigi XVI e mise fine alla persecuzione contro la Chiesa. La sua concezione del potere era fondata sul dispotismo. La sovranità è del popolo e il primo dovere del principe è fare ciò che vuole il popolo, ma siccome il popolo non sa cosa vuole, ragionava Napoleone, è il principe che di conseguenza deve interpretare la volontà del popolo. Del Napoleone uomo di stato va ricordato ancora che il suo ideale era la capillare organizzazione della macchina amministrativa, strutturata in modo piramidale, con un vertice che trasmetteva gli ordini e un sistema perfetto che li faceva arrivare fino all’ultimo villaggio. L’ordine napoleonico prevedeva una continua produzione di relazioni che la periferia doveva mandare a Parigi, in modo che lo Stato fosse costantemente al corrente degli umori dei suoi cittadini.
Ma il potere di Napoleone non poteva reggersi senza la forza dell’esercito. Lo ammetteva tranquillamente egli stesso: “È il soldato che fonda le repubbliche ed è il soldato che le conserva”. E ancora: “la Rivoluzione è un’idea che ha trovato delle baionette”. Napoleone, sostiene Barbero, accarezzava un sogno europeo. Voleva essere qualcosa di più dell’imperatore dei francesi. Partendo per la campagna di Russia aveva detto a Fouché, il potente ministro della polizia che morì a Trieste nel 1820: “adesso elimino la Russia e poi finalmente sarò libero di realizzare il mio destino, di completare quello che ho appena abbozzato. Ci occorrono un codice europeo, una corte di cassazione europea, una stessa moneta, le stesse leggi; bisogna che faccia di tutti i popoli di Europa un solo popolo e di Parigi la capitale del mondo”. Anche negli ultimi giorni della sua vita, durante l’esilio sull’isola di Sant’Elena le sue parole erano intrise di rimpianto per quell’idea: “se fossi rimasto io l’Europa sarebbe stata un solo popolo e ciascuno viaggiando in qualsiasi paese si sarebbe trovato all’interno di una patria comune”. —
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