Tutte le poesie di Mark Strand sul confine tra vita e morte

Mark Strand is a former poet laureate and the award-winning author of numerous poetry collections, including Man and Camel and Blizzard of One.
Mark Strand is a former poet laureate and the award-winning author of numerous poetry collections, including Man and Camel and Blizzard of One.



È uno dei poeti più venduti al mondo Mark Strand, premio Pulitzer nel 1999, nato in Canada nel 1934 e scomparso cinque anni fa. Strand riconosceva la poesia come il livello di scrittura più alta, che andava poco d’accordo con la comunicazione, e tuttavia il suo è quasi sempre stato un verso piuttosto comunicativo, nonostante la sua poetica non sia certo ottimista. Mondadori pubblica “Tutte le poesie” (pag. 696, euro 26) con testo a fronte e la versione italiana del suo traduttore fidato, Damiano Abeni, amico di Strand e nell’occasione coadiuvato da Moira Egan. Un volume che raccoglie tutta l’opera del poeta americano, da “Dormire con un occhio aperto” (1964) all’ultima raccolta, “Quasi invisibile” (2012). A leggerlo nella sua completezza si riconferma una coerenza di poetica assolutamente perfetta. Non era un ottimista, questo è certo, la morte è il motore primo dei suoi componimenti: «La morte è il centro focale della poesia lirica», scrive nell’“Alfabeto di un poeta”, che apre il volume e snocciola dalla A alla Z non solo il suo modo di intendere il verso, ma anche le sue passioni letterarie – da Kafka a Stevens, Calvino, Rilke – oltre a dare qualche “dritta” a come si scrive, ammettendo però infine che il vero poeta è quello che trasgredisce le regole. Una scrittura che solo in apparenza è facile, abbarbicata alla Natura con la n maiuscola, ma anche agli spazi e ai rapporti domestici.

La grandezza di Strand però è sempre stata l’ambiguo crinale su cui i suoi versi corrono, forse non c’è poeta contemporaneo più ambiguo nel tracciare il labile confine tra vita e non vita, tra consapevolezza e incoscienza, tra passato e futuro possibile. La fine diviene il pretesto per ogni impressione e ricezione del mondo, anche la celebrazione della gioia in fondo è tale perché sappiamo che prima o poi finirà. Rimane un mistero il talento del suo rendersi accessibile, fino ai poemi in prosa e a testi come “Il monumento”, l’apice di un pensiero che combatte allo sfinimento per lasciare traccia di sé, pur consapevole che questo non sarà possibile, neppure con la scrittura, contrariamente a ciò che Proust sosteneva, Strand mette in atto una sorta di de-narrazione. Ma la struttura dei suoi testi, la rapidità colloquiale, più spesso la prosa poetica di borgesiana e kafkiana memoria, introduce il lettore nei misteri della stessa esistenza sul corpo e sulla lingua, fino a scarnificare l’identità, a dividerla e ricostituirla, per quel che possibile.

Soprattutto ha cercato per tutta la sua opera di destrutturare un “io” giocato su più piani letterari e metaletterari: “Perché non vieni mai? Posso averti solo essendo/un altro? Devo scrivere la mia vita scritta da un altro?/La mia morte scritta da un altro? Mi ascolti?/Un altro è arrivato. Un altro sta scrivendo”, e forse proprio la raccolta da cui sono tratti, “Più buio”, è una delle più intense nel tratteggiare, se pur con leggerezza, la farsa di una vita che, da qualunque prospettiva, non pare avere un senso. Almeno fino alle ultimissime raccolte, non prive di ironia, ma in cui viene ripristinato l’aiuto della “semplicità”, quella semplicità innocente che può penetrare gli occhi. O in “Tormenta singolare”, dove in fondo, ammette il poeta, non ha importanza se non capiamo il dolore e il dolore che verrà, la vita con i suoi falsi orpelli: “vero, la luce è artificiale, e non siamo in abiti eleganti./Che importa. Ci piace qui. Ci piacciono i manzi nel campo qui accanto,/ ci piace il rumore del vento che passa sull’erba. Il modo in cui parli/con quella voce sommessa, le nostre confidenze delle ore piccole…/perché vivere per qualsiasi altra cosa?/Il nostro capolavoro è la vita privata”. Una confidenza coraggiosa, quanto vera. —



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