Tutta l’Italia che canta da Sergio Endrigo a De Andrè e Giorgia

«All’inizio del 1958 tutto è pronto per cambiare, e tutto cambia»: L’Italia impara a “Volare”. È “Nel blu dipinto di blu” di Domenico Modugno al Festival di Sanremo il punto di partenza de «Il...

«All’inizio del 1958 tutto è pronto per cambiare, e tutto cambia»: L’Italia impara a “Volare”. È “Nel blu dipinto di blu” di Domenico Modugno al Festival di Sanremo il punto di partenza de «Il romanzo della canzone italiana - Storie, aneddoti e personaggi della canzone moderna dal 1958 fino al 2000» (Einaudi Stile Libero extra, pagg. 376, € 19) di Gino Castaldo. «Gli italiani le canzoni le coltivano come pianticelle nei loro giardini sentimentali»: il volume del giornalista e critico musicale de “La Repubblica” mette voglia di ascoltare gli artisti di cui si legge e l’azione è semplificata da una playlist a fine di ogni capitolo con le canzoni più importanti citate a fare da guida.

«Perché scrivi canzoni tristi? Perché quando sono felice esco», diceva Bruno Lauzi. Negli anni Sessanta cade la barriera tra cantante e autore e l’idea di finzione: chi canta ciò che ha scritto in qualche misura è autobiografico, vero, autentico. Si apre la grande stagione dei cantautori con il primo nucleo della scuola genovese: Lauzi, Gino Paoli, Umberto Bindi, Luigi Tenco (piemontese trapiantato in Liguria), Fabrizio De André. «Per sensibilità comune, fu erroneamente arruolato nella pattuglia anche l’istriano Sergio Endrigo. (…) Nessuno come lui suggeriva un’idea di educata e impeccabile signorilità (…) Anche se viene ricordato per le sue canzoni più sentimentali, in realtà Endrigo è il più impegnato tra i cantautori della prima generazione». Tanti gli incontri memorabili ricostruiti da Castaldo: «Bisogna cercare di immaginarselo il momento esatto in cui Gino Paoli fece ascoltare “Il cielo in una stanza” a Mina, anche perché è uno degli episodi cruciali della nostra storia. Paoli è sgraziato, antidivo (…) Mina è una belva, intelligente, famelica, un’urlatrice in cerca del suo posto nel mondo (…) Capisce in un istante che quella canzone è sua». E sarà il 45 giri più venduto del 1960. A Milano, Enzo Jannacci e Giorgio Gaber lasciano un segno nella canzone d’autore; Fiorenzo Carpi e Giorgio Strehler inventano le “canzoni della mala” e le affidano alla Vanoni; Celentano esplode con il suo clan “una specie di Factory ante litteram”, di cui fa parte anche il triestino Pilade. Il lato pulito e candido della ribellione giovanile anni 60 è incarnato da Gianni Morandi e Rita Pavone, dall’altro lato ci sono i beat: la Patty Pravo di “Ragazzo Triste”, le band come i Corvi, i Giganti, Equipe 84… Nella notte tra il 26 e il 27 gennaio del 1967 uno sparo mette fine a ogni illusione sulla “leggerezza” del mondo della canzone: Luigi Tenco, a meno di trent’anni, muore in una camera d’hotel a Sanremo. Il compito di traghettare la canzone d’autore verso il “rinascimento” degli anni Settanta va agli anarchici Guccini e De André, mentre a stravolgere il rapporto autore-interprete ci pensano Mogol e Battisti. Il romanzo della canzone italiana si sviluppa a 360 gradi, passando per la Roma di Baglioni, Zero, Venditti, De Gregori, la Napoli di Pino Daniele, le grandi interpreti femminili (Loredana Berté, Mia Martini, Milva, Mannoia, Alice fino a Giorgia), Lucio Dalla «fantasista, attore, jazzista, bugiardo, genio della canzone, un perennemente “giovane esploratore” in piena navigazione esistenziale», Battiato e tanti altri… Finché arriva chi dichiara: «Il rock sono io»: è l’epopea di Vasco Rossi, la sua “Vita spericolata” arriva penultima a Sanremo ma il resto è storia. Guardando avanti, perché «La canzone è sempre in attesa di nuovi eroi in grado di rigenerarla».

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