Tu vuo’ fa’ l’americano. «Ma la jota mi parla dell’Istria delle origini»

TRIESTE Un’infanzia e un’adolescenza in cui avrebbe voluto cancellare la sua identità ibrida per essere un americano al 100%, nato ad Astoria, nel Queens, uno dei cinque distretti amministrativi della città di New York. E una maturità che lo ha invece portato a rivalutare le proprie origini italo-americane, trasformandole in un punto di forza che gli ha consentito di «trovare l’America» in Italia. Svoltata la boa dei cinquant’anni Joe Bastianich continua a viaggiare tra Stati Uniti e Italia per fare fronte ai suoi numerosi impegni, ma pare avere raggiunto un nuovo equilibrio: più pacato e meno irruento, più morbido e meno spigoloso.
L’ex giudice di Masterchef Italia, nonché nuovo giudice di Italia's Got Talent ha messo da parte alcune tra le espressioni che lo hanno inizialmente reso celebre nel panorama televisivo italiano (quel «mi stai diludendo, vuoi che muoro?» che Maurizio Crozza aveva sfruttato generosamente per imitarlo nella satira “Bastardchef”), si è pentito dei suoi lanci di piatti ed è diventato un uomo più pacato, più disteso.
In questi anni ha migliorato il proprio italiano, si è concentrato sul suo mestiere di imprenditore, non soltanto nel ramo della ristorazione ma anche in quello dei vini, e di recente ha dato sfogo a una delle sue prime passioni, quella per la musica: è uscito lo scorso settembre il suo primo album, “Aka Joe”. Alcuni giorni fa Bastianich si è fermato a Trieste per una tappa, la seconda in pochi mesi, da Eataly, dove ha presentato i vini della propria tenuta friulana, ha autografato bottiglie, si è fermato per i selfie di rito con il pubblico.
Giuseppino, il nomignolo affibbiatogli da nonna Erminia, si è recato all’appuntamento abbigliato con il suo ormai immancabile cappello da cowboy-chic, giubbino e jeans neri, stivaletti. E come sempre è stato molto generoso nel raccontare i suoi legami con queste terre: «Trieste è un po’ la casa della nostra famiglia, come di tanti altri esuli istriani», ha spiegato.
Che legame ha con questa terra?
Trieste è il luogo dove hanno abitato i nonni e mia zia, perciò ogni estate negli anni ’70-’80 ci fermavamo qui per alcuni giorni durante il nostro viaggio per andare e tornare dall’Istria. Eravamo ospiti nell’appartamento di mia nonna, che si trova sopra l’anfiteatro romano, e di quell’epoca, quando ero ancora un ragazzino, ho dei ricordi bellissimi, di passeggiate e bagni al mare. Gli anni ’70-’80 erano un periodo particolare anche per Trieste, una città così diversa dal resto dell’Italia, così legata all’est, e completamente differente rispetto a come si presenta oggi.
Lei è nato nel Queens, ma è figlio di profughi istriani. Cosa significano queste origini?
Quelle dei miei genitori e dei nonni sono, come tante storie di immigrazione, molto pesanti: si tratta di gente che è andata via nel dopoguerra per cercare di rifarsi una vita. Sono vissuti di sofferenza e di lavoro: non è semplice crearsi una nuova esistenza in un altro paese. Io ho avuto la fortuna di nascere negli Stati Uniti, ma per molto tempo ho odiato le mie origini: quando si è bambini si vorrebbe essere uguali agli altri, invece la mia infanzia è stata molto diversa da quella dei miei coetanei statunitensi. A casa mia si parlava in inglese con un accento strano e in un italiano dialettale, c’erano sempre pentole sui fornelli e il mio lunchbox non somigliava per nulla a quello dei miei coetanei.
Quando a poco più di vent’anni ha deciso di riscoprire le proprie origini con un viaggio in Italia è partito da Trieste. Come mai?
Perché Trieste per i miei genitori, e per molti esuli istriani, è sempre stata un po’ come una seconda casa. E’ una città d’adozione, anche per chi da esule è finito dall’altra parte dell’Oceano. Mi fa sempre molto piacere fermarmi in questa città, è un modo per ripercorrere le memorie di ciò che ho vissuto da bambino e da adolescente, dalle canzoni triestine alla cucina tradizionale.
C’è qualche piatto della tradizione che le piace particolarmente?
Adoro la jota, che nelle domeniche d’inverno non manca mai sulla nostra tavola. È un ricordo dei sapori d’infanzia e ho provato a proporla anche nei miei ristoranti. Ma mi piacciono moltissimo anche alcuni piatti della tradizione istriana, come i fusi e le palacinche.
È tornato nella casa dei nonni in Istria, a Pola?
Ci torniamo ogni anno e mia madre Lidia in particolare è molto affezionata alla sua terra di origine. C’è ancora la casa dove hanno vissuto i miei nonni e lì abbiamo ancora un uliveto e una vigna, anche se di parenti ne sono rimasti pochissimi, solo qualche zio.
E i suoi figli?
Anche loro sono stati in Istria e in Friuli Venezia Giulia più volte. Durante l’estate si fermano a Grado e nell’azienda agricola di Cividale e hanno imparato anche un po’ d’italiano. Quanto a me, sono qui ormai da 15 anni, da quando ho iniziato a produrre vino in zona e sono molto legato a questa regione, a Trieste in particolare, e all’Istria.
Questa città le sembra cambiata rispetto a un tempo?
Beh, negli ultimi anni direi che è cambiata tantissimo, ha avuto davvero un boom incredibile. Ero qui per la Barcolana e mi ha colpito vedere così tanti turisti in giro per la città. —
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