TriesteScience+Fiction taglia il nastro al Rossetti VIDEO E FOTO

TRIESTE. La diciottesima edizione di Trieste Science+Fiction (farebbero ben trentanove se contassimo anche quelle dello storico festival della fantascienza) si è aperta ieri sera con successo in una sede nuova e prestigiosa (il Politeama Rossetti, luogo tradizionale di rappresentazione di spettacoli di vario genere, ricordano gli organizzatori, segno di crescita pur nella precarietà logistica), ma con un programma quanto mai classico per questa storica manifestazione.
Il film inaugurale, “Marjorie Prime” dello statunitense Michael Almereyda, melodramma sul ruolo della tecnologia nella nostra vita emotiva, è infatti un tipico esempio di quella fantascienza colta di produzioni indipendenti che ha sempre caratterizzato fin dagli anni ’60 il festival.
Gli esordi della manifestazione triestina coincidevano con quel periodo in cui per la prima volta grandi autori, in particolare europei, si incontravano col genere più ultramoderno per antonomasia, da Godard a Losey, da Chris Marker a Pierre Kast, fino a Zulawski. Ma la prima edizione aveva anche visto anche premiati due importanti film delle opposte sponde della Guerra fredda (che dominava lo spirito dell’epoca), l’americano “L’uomo dagli occhi a raggi X” di Roger Corman e il cecoslovacco “Ikarie XB 1”, viaggio interspaziale antesignano di film quali “2001” e “Alien”.

Quasi a voler ripercorrere queste suggestioni, l’edizione 2017 di Science+Fiction è partita con una nuova piccola “guerra fredda” cinematografica fra Est e Ovest proponendo curiosamente, dopo il film americano nella giornata d’apertura, tre film da Russia, Ungheria e Polonia nella seconda giornata odierna. E quello principale, il kolossal “Salyut-7” di Klim Shipenko (stasera alle 20 al Rossetti) sembra la tardiva risposta russa, per tematiche, mezzi e spettacolarità, all’”Apollo 13” di Ron Howard.
Sontuoso e avvincente, “Salyut-7” sembra far tesoro di tutta la tradizione migliore della fantascienza dei viaggi spaziali, a partire proprio da “Ikarie XB 1” di Jindrich Polak, dalla sua lontana ambizione di raccontare una spedizione verso l’ignoto con un messaggio insieme di paura e di speranza, e con la volontà di raccontare l’utopia con un certo realismo.
Ma “Salyut-7” naturalmente appartiene soprattutto alla recente fantascienza quasi documentaristica tipo “Gravity”. Basato su un avvenimento accaduto, ricorda quando, nel 1985, la stazione spaziale sovietica Salyut-7 smette di rispondere ai segnali del comando di terra, e per impedire un’eventuale caduta e una catastrofe, vengono spediti a raggiungerla dei cosmonauti a trovare la causa del guasto. Effetti speciali e drammaturgia di “Salyut-7”, con tanto di cronaca mediatica da terra, psicologia dei familiari rimasti a casa, suspense per gli incidenti in volo, sembrano quelli dell’avventura hollywoodiana. E infatti basta sapere che il regista Shipenko si è diplomato in California per capire che la Guerra fredda, almeno cinematografica, è proprio finita.
Anche l’ungherese “Loop” (alle 15 al Rossetti) di Isti Madrasz tocca un tema del recente cinema fantastico occidentale, il “loop” temporale appunto, già visto in film quali “Lola corre”, “Source Code” o “Looper”, in cui l’azione del film procede costantemente in avanti, ma riesce sempre comunque a ritornare indietro allo stesso punto. E’ una suspense che conosciamo, ma il film di Madaradsz riesce a intensificarla con una credibile atmosfera di disagio post-socialista.
“The Man with the Magic Box” infine, del polacco Bodo Kox (alle 17.15 al Rossetti), parte da un’americanissima rappresentazione del futuro distopico per rifugiarsi presto in un’elegia quasi tarkovskjana del passato. Una radio anni ’50 diventa così una macchina del tempo per riflettere sulle utopie mai avverate.
Riproduzione riservata © Il Piccolo