Trieste, una "Macchinazione" dei poteri forti condannò Pasolini VIDEO

TRIESTE Esce il 24 marzo "La Macchinazione", il film di David Grieco che a pochi mesi dalla pubblicazione dell'omonimo romanzo edito da Rizzoli, prova a gettare luce sull'omicidio di Pier Paolo Pasolini. Una ricostruzione degli ultimi tre mesi di vita dell'intellettuale friulano, attraverso la quale, quarant'anni dopo quella tragica notte all'idroscalo di Ostia, il regista intende offrire la sua versione dei fatti.
Sui retroscena, i depistaggi e i fitti intrecci della corruzione politica italiana dietro ai quali si nasconderebbe il movente del delitto e che certamente, in tutti questi anni, hanno impedito di stabilire la verità. Troppi i conti che non tornano, le contraddizioni, gli episodi inquietanti: dal furto dei negativi di "Salò o le 120 giornate di Sodoma", alla frequentazione di Pino Pelosi, il "ragazzo di vita" che non sarebbe stato adescato quella sera, come si è voluto far credere, ma che, al contrario, frequentava Pasolini da mesi.
E poi ci sono i temi scottanti ai quali Pasolini, interpretato nel film da Massimo Ranieri, stava lavorando e che lo renderebbero potenzialmente una vittima perfetta dei poteri occulti: le inchieste per Il Corriere della Sera, e soprattutto il suo romanzo incompiuto, "Petrolio", in cui indagava sul presidente della Montedison e fondatore della Loggia P2 Eugenio Cefis, eminenza grigia di tutte quelle forze tentacolari che negli anni '70 hanno cambiato i connotati del nostro Paese attraverso la cosiddetta “strategia della tensione”.
David Grieco, il suo è un film importante e rischioso. È soddisfatto? È venuto fuori il film che desiderava? «Assolutamente. E ora che comincio ad accompagnarlo alle anteprime e assisto alle prime reazioni del pubblico, ne sono ancora più convinto. Alle proiezioni non vola una mosca, l'attenzione è altissima. E la cosa che mi fa più piacere è che il film piace ai giovani, soprattutto a chi di questa storia non ne sa nulla. Volevo realizzare un "film di pancia", anni '70, fregarmene delle astuzie stilistiche e dei virtuosismi. Avrà anche i suoi difetti, ma è un film vivo».
Per realizzarlo ha incontrato molte resistenze… «Moltissime. Da ogni parte. Lo sappiamo come funziona, ci hanno sparato addosso da qualsiasi abbaino. Questo film è un atto di coraggio e la sua realizzazione si deve a Marina Marzotto, che lo ha prodotto assumendosene i rischi. Perché parlare di Pasolini, del suo omicidio e dei poteri oscuri di quegli anni, fa ancora paura.
A quarant'anni di distanza penso che dovrebbe essere possibile guardare alle cose con distacco, osservarle e capirle. E invece Pasolini è ancora temuto, forse perché potrebbe essere il grimaldello per aprire altre porte che devono restare chiuse. Sono molto stanco, ma credo che valga ancora la pena di battersi per la verità».
Nell'incipit del film lei cita una frase di Pasolini: "Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia". «Proprio così. E sa cosa credo? Che quarant'anni fa le cose fossero più semplici di oggi. C'era un mondo diviso in due, un'Italia divisa in due, una sinistra attentissima e protettiva verso la cultura e anche un'opinione pubblica vivace. Pasolini era denigrato, osteggiato e perseguitato però alla fine ha fatto i film che voleva fare.
Aveva gente che gli sputava in faccia, ma anche chi lo sosteneva. Oggi nessuno ti sputa in faccia, ma in fondo ti fanno anche di peggio. Intanto la gente è disorientata e soprattutto non si vuole immischiare. Per fare un esempio banale, so che hanno in mente di abolire quello che introducemmo Veltroni ed io vent'anni fa e cioè il contributo ai film "di interesse culturale nazionale". In questo modo i film saranno tutti uguali, tutte commedie. Non credo che esista un altro Paese in Europa dove accade una cosa del genere».
Il suo film è già stato proiettato alla Camera dei Deputati. Come è stato accolto? «Molto bene. Mi hanno avvicinato alcuni signori austeri per congratularsi. Erano dei magistrati. Mi hanno detto: “Complimenti per il coraggio ma soprattutto per la ricostruzione. Era esattamente così”. Ora speriamo che si apra una Commissione parlamentare d'inchiesta per riaprire il caso. Laura Boldrini è molto motivata, i voti ci sono, mi auguro che sia solo una questione di tempo».
Prima di lei, a ipotizzare che dietro all'omicidio Pasolini vi fosse un complotto, c'è stato Marco Tullio Giordana in “Pasolini, un delitto italiano”. «Sì, ma a differenza sua io non uso allusioni. Non ricorro a nessuna forma di autocensura. Faccio nomi e cognomi. Se devo dire "Democrazia Cristiana", non dico "partito di maggioranza"».
Ricordo che Ranieri aveva accettato spaventatissimo di interpretare Pasolini. Com'è andata poi? «Benissimo. Prima era molto spaventato, come lo eravamo tutti. Ma una volta sul set si è immedesimato al punto da non sapere quasi più chi fosse. La somiglianza è impressionante. Gli ho detto di non usare forzature, di usare pure la sua voce, la sua inflessione napoletana. E in un'ora lui è diventato Pasolini».
La musica dei Pink Floyd, perché? «Pier Paolo usava sempre musiche già edite, per questo mi sembrava bello e filologico usare una musica non originale. Qualcosa che avesse senso per me. Una sera ho riascoltato "Atom Heart Mother" e mi è sembrato perfetto e spiazzante. Ci davano tutti dei pazzi, ma abbiamo provato comunque a mandare la richiesta e non solo hanno accettato, ma pure al prezzo minimo. La Warner Music è entusiasta e organizzeranno a Londra una proiezione per loro».
Pasolini avrebbe amato il suo film? «Questa è una domanda molto difficile. Non ci ho mai pensato. Onestamente, non so se lo avrebbe amato ma almeno credo che non lo avrebbe fatto incazzare. Il cinema di Pasolini era poetico, mentre il mio, se vogliamo, si rifà di più alla stagione del cinema civile. Ho avuto in mente Petri».
A proposito di Petri, a un certo punto cita il monologo di "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto". Perché? «È un regalo all'attore Matteo Taranto che adora Gian Maria Volonté. E mi interessava mostrare l'ammirazione sconfinata di un delinquente fascista per quel personaggio. Era davvero così. Un film che più di sinistra non si può, era incredibilmente amato dai fascisti. Dicevano: “Ecco! Questi ci vorrebbero! Il pugno di ferro!”. Non avevano capito niente».
Sa che la additeranno come "il Martinelli di sinistra"? «Va benissimo! A me i film di Renzo Martinelli non piacciono. Però gli va riconosciuto che è una persona ostinata, che vuole andare a fondo nelle cose».
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