Trieste si rivolse al Papa per frenare l’avanzata di Tito nella Venezia Giulia

Scoperta nella Biblioteca Nazionale e Universitaria di Lubiana la trascrizione clandestina della lettera con la quale alcune personalità giuliane chiesero al pontefice di tutelare la città 
Soldati neozelandesi e partigiani dell’armata jugoslava davanti al tribunale di Trieste dove si erano asserragliati gli ultimi tedeschi
Soldati neozelandesi e partigiani dell’armata jugoslava davanti al tribunale di Trieste dove si erano asserragliati gli ultimi tedeschi

Persuaso dalla sua formidabile intelligence che ad impegnare realmente l’esercito germanico nei Balcani erano i partigiani di Tito, piuttosto che i cetnici di Mihajlović, Churchill, che pure nutriva un occhio di riguardo per re Pietro, suo ospite a Londra, ruppe gli indugi. Abbandonato il generale al suo destino, il 12 agosto del 1944 ricevette a Caserta il maresciallo Tito.



I due parlarono, fra l’altro, anche dell’eventualità di uno sbarco alleato in Istria. Rassicurato dalla risposta di Tito sulla agibilità dell’entroterra istriano per i mezzi pesanti, Churchill disse: «Sono molto favorevole all’apertura di una testa di ponte. Ma bisogna provvedere che i rifornimenti seguano a ruota». Fitzroy Maclean, capo della missione alleata presso il quartier generale di Tito, aggiunse che la questione era stata già sviscerata a fondo. Churchill chiese: «Se installassimo in Istria una siffatta testa di ponte, le unità del Maresciallo Tito sarebbero in grado di parteciparvi?». «Sì – rispose Tito – le nostre unità si trovano già in Slovenia ed in Croazia ed esse verrebbero sicuramente coinvolte». Ma Roosevelt non fu di quell’avviso …

L’8 luglio 1944 era intanto giunto a Roma, in missione speciale presso il Vaticano, Edvard Kocbek (1904 -1981), il poeta amico dello scrittore triestino Boris Pahor e membro, all’epoca, del Cln (Nkoj) di Tito, nonché capo prestigioso dei partigiani cattolici sloveni. Vi si trattenne due mesi, autorizzato e incoraggiato da Tito e Kardelj, ma privo di un mandato formale del Nkoj. Ciò, unito al fatto che la Santa Sede continuava ad intrattenere regolari rapporti diplomatici con il governo monarchico jugoslavo in esilio, gli precluse il passo all’ambita udienza ufficiale al soglio pontificio. Dovette perciò accontentarsi di fruttuosi colloqui col sostituto Segretario di Stato mons. Tardini.

Nel corso della missione, Kocbek era stato affiancato, su preciso incarico dei servizi di sicurezza e d’intelligence partigiani, dall’avvocato fiumano Niels Sachs-Grički, il quale vantava un notevole bagaglio di proficue entrature professionali e politiche negli ambienti vaticani. Si deve a lui, oltre che all’evidente compiacenza di qualche solerte funzionario della Santa Sede, la trascrizione clandestina manoscritta della qui riprodotta supplica, rivolta al pontefice, nel luglio del 1944, da un gruppo di prestigiose personalità giuliane, mirante ad una sua intercessione presso gli Alleati al fine di evitare che la liberazione di Trieste dall’invasore tedesco avvenisse da parte delle sole forze armate del Maresciallo Tito. Il testo del documento è pertanto oggi reperibile fra le carte del ricco lascito kocbekiano, custodito a Lubiana presso la Sezione manoscritti della Biblioteca Nazionale e Universitaria.

Il documento non era noto agli storici, ma l’iniziativa sì. Ne aveva infatti parlato Diego de Castro nel suo “Il problema di Trieste”, edito nel lontano 1952, raccontando come una delegazione di giuliani, formata dagli avvocati Camillo e Sergio Ara, dall’avvocato Milo di Villagrazia, dal dottor Modugno, dallo stesso De Castro e da “alcuni altri”, si fosse recata dal pontefice il 25 luglio 1944, ricevendone in cambio “promessa di interessarsi”.

Certamente il passo si inserisce nell’ambito dell’azione svolta dai vari comitati giuliani formatisi nell’Italia liberata nel corso del 1944, il principale dei quali fu quello costituitosi a Roma per iniziativa di Carlo Antoni e che vide come membri, fra gli altri, il direttore del Banco di Santo Spirito, Ricceri, l’avvocato Milo di Villagrazia, genero dell’industriale Giorgio Sanguinetti, Gabrio Vidulich-Premuda e Diego de Castro. Il Comitato cercò di sensibilizzare le autorità italiane, alleate ed ecclesiastiche sulla sorte della Venezia Giulia, insistendo in particolare sulla necessità che la regione venisse occupata dalle truppe anglo-americane per evitare una ripetizione su più larga scala degli eccidi dell’autunno 1943.

Anche sulla scorta delle informazioni fornite dai giuliani, un mese dopo il sottosegretario agli esteri, Visconti Venosta, scrisse al comandante della commissione alleata di controllo, l’ammiraglio Ellery W. Stone, per informarsi sulle intenzioni alleate in merito all’occupazione della Venezia Giulia. Stone rispose appena il 14 settembre (il che la dice lunga sulla considerazione che il governo italiano godeva da parte degli alleati), comunicando che l’intenzione del comando supremo alleato del Mediterraneo era quella di mantenere sotto governo militare alleato tutte le province di confine. Alcuni commentatori avrebbero successivamente interpretato tale lettera come un impegno ad occupare la Venezia Giulia, lamentando poi il “tradimento” alleato. Ovviamente, così non era: Stone si era limitato a manifestare quelle che effettivamente erano al momento le “intenzioni” del Sacmed, senza offrire alcuna garanzia. Il tema dei possibili eccidi sarebbe stato sollevato esplicitamente dal presidente del consiglio, Bonomi, in risposta alla lettera di Stone, ma l’ammiraglio si limitò ad accusare ricevuta.

Sul medesimo tema sarebbe intervenuto successivamente anche De Gasperi, nella sua qualità di ministro degli Esteri, ricevendo anch’egli vaghe risposte, perché effettivamente gli alleati non sapevano che cosa sarebbe accaduto nella Venezia Giulia, dal momento che non erano riusciti a concordare preventivamente con Tito una delimitazione delle rispettive zone di occupazione.

Il 29 aprile 1945, alla vigilia della duplice insurrezione triestina, il vice-Sottosegretario del Foreign Office, Sir Orme Sargent, osservò, a proposito delle forze collaborazioniste jugoslave ormai in rotta verso il Friuli e la Carinzia, in un messaggio a Churchill: «Avevamo sperato che le forze antipartigiane nel Nord-Ovest della Jugoslavia sarebbero state in grado di impedire a Tito, senza il nostro aiuto, l’ingresso nella Venezia Giulia e a Trieste prima delle nostre formazioni». (...) —


 

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