Trieste scopre Marco Polo, il pioniere dell’Est LEZIONE SPOSTATA AL TEATRO MIELA

SPOSTATA al TEATRO MIELA la seconda conferenza del ciclo con Vito Bianchi

Lezioni di Storia a Trieste: 6 incontri sul tema del viaggio

ATTENZIONE: L'APPUNTAMENTO E' SPOSTATO AL TEATRO MIELA ALLE 11.

Tornano le Lezioni di storia, con la nuova serie di sei appuntamenti questa volta dedicati a “Il viaggio”. Secondo appuntamento domenica 12 novembre, alle 11, al teatro Miela anziché alla Stazione Marittima, sempre a ingresso libero fino a esaurimento posti, 270 in tutto.

Introdotto da Alessandro Mezzena Lona, Vito Bianchi parlerà su “Marco Polo verso il Catai”. Il ciclo delle Lezioni di storia, ideato dagli Editori Laterza, è organizzato dall’Erpac-Ente regionale patrimonio culturale della Regione Friuli Venezia Giulia, con il contributo della Fondazione CRTrieste, la media partnership de “Il Piccolo”, la collaborazione di Trieste Terminal Passeggeri e il patrocinio del Comune di Trieste. Anticipiamo di seguito un brano dell’intervento di Vito Bianchi.

In fila con un’ora di anticipo per conoscere meglio Ulisse IL VIDEO INTEGRALE DELLA LEZIONE
Lasorte Trieste 29/10/17 - Marittima, Lezioni di Storia


A lungo, nell’immaginario collettivo, il ritratto di Marco Polo è stato associato esclusivamente all’idea romanzesca che del personaggio viene offerta dalle pagine de “Il milione”. Ma a parte le molteplici e talvolta dissonanti versioni che di quel libro sono state tramandate, la vita di Marco Polo ha anche un “prima” e un “dopo”, e non consiste soltanto nel racconto delle sue peripezie. Quella di Marco Polo è piuttosto la vita di un uomo che si inserisce perfettamente in un contesto storico e politico peculiare per i destini dell’Oriente e dell’Occidente, nell’ecumene di pieno Duecento.

Innanzitutto Marco Polo nasce, cresce e viene educato in un ambiente che è, specificamente, quello dei mercanti, in una Venezia che, nel tredicesimo secolo, ha condotto a maturazione l’assetto di un proprio, autentico, saldo impero commerciale, imperniato sul Mediterraneo e tradizionalmente rivolto al Levante. Per l’economia euro-mediterranea è questo il periodo della “rivoluzione commerciale”, durante la quale si ridefiniscono e si precisano equilibri sociali che, nelle città sempre più in crescita, portano all’affermazione prepotente e vertiginosa del ceto mercantile.



In contemporanea, dall’altra parte del mondo conosciuto, si avvia una fase di grande apertura mercantilistica, con una decisa incentivazione delle vie di comunicazione (la Via della seta, la Via delle spezie, la Via dei lapislazzuli) fra l’Oriente e l’Occidente, che permette un rinnovato e più moderno scorrimento di merci e di idee. Si tratta di un fenomeno susseguente alla cosiddetta pax mongolica, l’epoca di pacificazione universale innescata dall’espansione dei Mongoli. L’estensione del dominio gengiskhanide fra Asia ed Europa aveva in effetti unificato una fascia territoriale enorme, in cui la circolazione e i collegamenti s’erano realizzati abbastanza tranquillamente, e comunque più agevolmente rispetto al passato.

Il dinamismo di mercatores, finanzieri, trafficanti occidentali (ma anche orientali) aveva così avuto la possibilità di esprimersi lungo le nuove rotte spalancate da una sostanziale unitarietà del sistema di mercato. Per la prima volta, gli europei avevano avuto l’opportunità di avvicinarsi all’universo cinese, e di scoprire terre fin lì soltanto immaginate, fantasticate o sognate.

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A quell’universo bisognava però accostarsi con i giusti mezzi. Il codice d’accesso alla Cina non potevano possederlo i missionari cristiani o i diplomatici dei regni europei, che si approcciavano all’Oriente con animo ingombro di pregiudizi religiosi o politici. La chiave per adire il Levante, per penetrare la sua essenza, era adesso nelle mani dei mercanti, gli unici che, col loro canone necessariamente conciliante, con il loro obiettivo, esplicito, chiaro, limpido di concludere dei buoni affari, sono i soli in grado di sanare le fratture e congiungere realtà sociopolitiche tanto distanti. Sono i mercanti che sanno e possono andare alla ricerca di mondi fin lì sconosciuti, per svelarne i contenuti, capirne e carpirne i segreti.

In quest’ottica, Marco Polo incarna l’immagine del nuovo Parsifal, del viaggiatore senza paura, che non è più il cavaliere della classicità medievale, bensì il mercante, col suo spirito libero, con la sua forza che consiste dapprima nel conoscere e, poi, nell’accostarsi all’altro (e all’altrove) su un livello di convenienza reciproca, su di un piano paritario, intrinsecamente pacifico.

Marco Polo diventerà così il pioniere della conoscenza del Levante, il precursore della comprensione di quel Catai che poteva vantare ricchezze favolose e una civiltà raffinatissima. La cultura della Cina sarà dunque trasmessa all’Occidente proprio per il tramite del veneziano, il vero promotore dell’interscambio e l’iniziatore di un processo di integrazione dell’umanità.

Per la società europea, ristagnante (allora come oggi) nel suo eurocentrismo, il disvelamento di tale e tanta grandezza sarà un colpo choccante, che metterà in crisi assunti e certezze quasi ancestrali: al punto che in Europa si farà fatica a comprendere e ad accettare quello che Marco aveva visto e descritto, bollando inizialmente il racconto poliano come frutto di invenzioni risibili.

Nondimeno, il seme era stato gettato, e Marco Polo aveva avviato un’interrelazione che si protrarrà vivacemente almeno fino all’avvento dei Ming, che ribaltando il regime di apertura internazionale della dinastia sino-mongola degli Yuan richiuderanno la Cina in un nazionalismo esasperato e autarchico, nello stesso momento in cui l’Occidente avvertiva i sintomi della grande crisi del Trecento.

Nonostante ciò, l’opera di esplorazione e conoscenza realizzata da Marco Polo non smetterà di produrre i suoi frutti: ancora alla fine del Quattrocento, assillato dal pensiero di trovare nuove vie per l’Oriente, Cristoforo Colombo guarderà a Marco Polo, e riprenderà in mano, per postillarla con cura, proprio una copia de “Il milione”.
 

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