«Trieste non è Italia ma un pezzo incollato di Mitteleuropa»

di GUSTAW H. GRUDZINSKI
Oggi ho raccontato a un mio amico triestino in visita a Napoli come reagisce Leonor Fini quando qualcuno le si rivolge dicendo: «Lei, da italiana…». Con una scintilla d'ira negli occhi interrompe: «Non sono italiana, sono di Trieste». Il mio conoscente annuì in modo solenne: «Ha ragione, ha ragione da vendere, Trieste non è Italia».
Che cos'è Trieste? È un pezzo di Mitteleuropa annesso all'Italia. Ogni volta che parlo con Leonor o ascolto i suoi racconti sulla sua infanzia triestina, sulle sue parentele austriaco-slovene, capisco Kot Jelenski, che considerava la mitteleuropeità della sua compagna di vita come un elemento indispensabile di armonia nella loro relazione. «Nella sfera mondana e cosmopolita un affine sentire mentale, culturale e nazionale, e di costumi», aggiungeva, ridendo in modo fragoroso e contagioso, come soltanto lui sapeva fare, mentre Leonor annuiva. «Sono una triestina, non un'italiana» (in italiano nel testo, ndt), in questa sua dichiarazione di appartenenza e identità non ho mai sentito una nota d'ipocrisia né un'ostentazione d'originalità o un tentativo di darsi un tono. Triestino era in primo luogo il grande scrittore Italo Svevo che, a quanto pare, scriveva e parlava in italiano peggio che in tedesco. Ma non è questo il punto.
Il punto è l'atmosfera mitteleuropea dei suoi romanzi. In "Senilità", il suo capolavoro, vi sono scene che evocano nella mia immaginazione reminiscenze "familiari". È esattamente la stessa cosa con il romanzo dell'esimio poeta triestino Umberto Saba. Il celebre Roberto Bazlen, l'intenditore letterario per antonomasia (leggeva tutto - dicevano di lui -, perfino quello che ancora non era stato scritto), anche triestino, una volta mi espose la sua convinzione riguardo alle "radici" erranti di Joyce, che erano più profonde a Trieste, poiché lì stava benissimo, e non certo solo per lo stipendio permanente che percepiva da Berlitz.
E sarà Joyce ad apprezzare per primo la grandezza di Svevo, forse grazie all'atmosfera "bizzarra" dei suoi romanzi, indigesta e inaccessibile all'italiano medio (solo in seguito Montale "scoprì" l'autore di "Senilità"). Bazlen si spinse ancora oltre: nominò un dipendente della filiale praghese delle Assicurazioni Generali di Trieste, Franz Kafka, triestino honoris causa.
Nella vicina Gorizia nacque Carlo Michelstaedter, matematico genialoide, grecista, filosofo e poeta, che nel 1910, all'età di ventitré anni, si tolse la vita. Questo suicidio "intellettuale" non era italiano, secondo me apparteneva piuttosto all'area mitteleuropea di Trieste e dintorni. Sono stato a Trieste solo una volta, molto tempo fa e per appena un giorno. Tuttavia quel solo giorno mi è bastato per conservare per sempre le immagini, i sapori e gli odori di Trieste, una città invero non italiana. Me ne andavo in giro con una costante sensazione di familiarità. Le strade, la gente per le vie, le caffetterie, le conversazioni origliate nei caffè, l'architettura dei palazzi, la messa a San Giusto, le scritte "Oggi trippa" affisse nei ristoranti economici. La sera sono tornato a Venezia quasi fossi rientrato dall'estero.
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