Trieste nei versi di Joyce, backstage dell’Ulisse

Le Edizioni Edb ripubblicano un introvabile libretto di poesie dove lo scrittore irlandese parla dell’amore e della città
Di Mary Barbara Tolusso
La statua di James Joyce sul Ponterosso in via Roma, sullo sfondo la passerella intitolata 'Passaggio Joyce', denominata invece dai triestini 'Ponte Curto', Trieste, 15 giugno 2013..ANSA/FRANCESCO DE FILIPPO
La statua di James Joyce sul Ponterosso in via Roma, sullo sfondo la passerella intitolata 'Passaggio Joyce', denominata invece dai triestini 'Ponte Curto', Trieste, 15 giugno 2013..ANSA/FRANCESCO DE FILIPPO

La sua anima era a Trieste. Lo scriveva Joyce nel 1909, in una celebre lettera indirizzata alla moglie Nora. E Trieste viene evocata e descritta nella sua commovente bellezza in gran parte delle opere. La città è indubbiamente uno sfondo architettonico che si presta alla mano dell'autore, ma non solo. Furono anche i triestini i soggetti prescelti, fonte di un'ispirazione che stava tutta dentro il ritmo di quella lingua. Un ritmo che equivale a un gioco, almeno a leggere l'ultima importante versione dell'Ulisse, ad opera di Gianni Celati, che più volte confessò di essersi disperato sulle difficoltà di traduzione. E poi trovò la chiave giusta. Ovvero quella di considerare tutto un gioco. «Non c'è nulla di serio in Joyce. Neanche mezza frase» disse. Tutto è un gioco, uno scherzo, come in Rabelais. Magari invece pochi sanno che per lavorare sulla sua Odissea e i suoi esotici personaggi, Joyce riabilitò un libretto scritto poco prima dell'Ulisse, intitolato "Giacomo Joyce". E in "Giacomo" ci sono dei personaggi tutti triestini, come Amalia Popper, figlia di un ricco ebreo, sua studente e amante. Amalia, con cui James ebbe una relazione quando insegnò a Trieste, fu indubbiamente uno dei modelli a cui si ispirò per il carattere di Molly Bloom. È un testo che va assolutamente letto, ora che è possibile farlo.

"Giacomo Joyce", edito da Guanda più di trent'anni fa, è di nuovo in circolo grazie alle Edizioni Edb (pag. 47, euro 8,00), nella collana di Poesia di ricerca. Si tratta di un lavoro straordinario, un lavoro sul linguaggio folgorante, tanto da credere di stare nel backstage dell'Ulisse. Bastino poche parole del curatore Alberto Pellegatta: «Compatto, semplice e diafano, ma anche crudele tanto è netto. Una scrittura scanzonata e controllatissima, carica di senso e di doppi sensi, privata quasi di sintassi e traboccante di immagini liriche. Un Joyce di culto, a briglia sciolta, da passeggiata con se stesso, senza bisogno di finzioni letterarie». Una scala a pioli verso l'Ulisse, la definisce Pellegatta, un libro notturno, sporco, ma impeccabile. E la salita è irta di collegamenti letterari: da Omero a Mallarmé, da Leopardi a Svevo fino a Gioacchino da Fiore e Brunetto Latini. Eppure pare scritto l'altro ieri. Un Joyce poco più che trentenne ci parla dell'amore come fosse già un rimpianto, con donne triestine esangui e crudeli. La morte della simbolica Beatrice dantesca, per esempio, riesce a divenire icona del suo contrario nell'immagine di Amalia Popper, difficilmente donna angelicata: «Stringimi / la cintura e questi capelli / semplicemente annodata». D'altra parte non fatichiamo a immaginare un James Joyce nei meandri di una Trieste più torbida, votata alla contraddizione, supportato dalla poesia, assistito da stelle fredde. «Pure Trieste si sta svegliando gelida: la fredda luce solare sull'accalcamento di tetti marroni…».

Più scontrosa che graziosa, Trieste Joyce l'ha detta al pari di Saba. Ci sono più versi in questo piccolo libretto rispetto a molte raccolte di poesia. Ogni pagina ci riserva una frase perfetta, provocatrice e morbida, senza traccia di patinata aulicità. Ma in fondo la grandezza sta lì, quando la materia ordinaria diventa incandescente. Estetica. E commovente. Una delle prose liriche di maggior impatto è "Una gentile creatura", dove la città natale e Trieste si confondono in una passeggiata notturna in via San Michele. Nella prosa poetica James Joyce sta piangendo e la bellezza della metafora sta (anche) nel non riuscire a capire se le lacrime sono riservate a Trieste o al nome di una donna: «Non hai mai camminato di notte per le vie di Dublino singhiozzando un altro nome?», scrive. Ci sono altri quadri urbani in "Giacomo", Padova, Vercelli. Ma è la città adriatica che spicca, disegnata con quel flusso di coscienza e quell'orfismo realistico a cui (anche) la poesia italiana sarebbe approdata più di cinquant'anni dopo. Trieste è esaminata nei suoi quadri sociali, a cui non viene risparmiato nulla. «Una moltitudine di prostrati scarafaggi aspetta una liberazione nazionale». Oppure. "Belluomo esce dal letto della moglie dell'amante di sua moglie". Ma anche: "Aria pura e silenzio sulla strada dell'Altopiano". E poi i primi frutti dei mercati cittadini, le carrozze sulla strada, cariche di personaggi che hanno gli occhi saggi del gufo. Amalia Popper fa la sua comparsa nei corridoi della Berlitz School, lì dove Joyce espone "Shakespeare alla docile Trieste". Forse in fondo non così diversa dalla Trieste che si è inventato Proust, nel quarto capitolo della Recherche, descrivendo un luogo docile, ma contro natura. Comunque l'unico punto italiano vocato a entrare nell'officina linguistica dei padri del modernismo.

Insomma questo piccolo libro trattiene molto di ciò che verrà poi dilatato nell'Ulisse. E di sicuro non c'era luogo, a quei tempi, che più si prestava all'invenzione di sé. Trieste, giovane e vecchia, la perfetta coincidenza di un passato che si rinnova e inventa nella contraddizione, come solo Joyce poteva dirlo: «La giovinezza ha una fine: la fine è qui. Non accadrà mai. Tu lo sai bene. E allora? Scrivilo, dannato, scrivilo. Cos'altro sai fare?».

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