Trieste, L’ultima opera di Henrik Ibsen incontra l’AI alla Sala Bartoli
In scena “Quando noi morti ci risvegliamo” nella rilettura del regista Rajeev Badhan
Tutto è dichiarato, tutto è reale e allo stesso tempo tutto è finzione. Tutto è vivo, ma nello stesso momento è già morto. Accade in “Quando noi morti ci risvegliamo”, in scena alla Sala Bartoli del Teatro Stabile regionale oggi alle 19.30 e in replica domani e giovedì 9 alle 21.
Fra teatro, video e live set, l’ultima opera di Henrik Ibsen, scritta nel 1899, incontra l’intelligenza artificiale e le nuove tecnologie, nella rilettura contemporanea del regista Rajeev Badhan e della compagnia SlowMachine. Un testo denso di simbolismo diviene così il trampolino per sviluppare una dimensione visiva che cerca di andare oltre le parole, anche attraverso una costruzione sonora live e una scena che combina elementi materici naturali ed elementi tecnici. E l'allestimento immerge gli spettatori in una dimensione ipnotica. Ibsen racconta dello scultore Arnold Rubek, recatosi, con la giovane moglie Maja, in una località balneare norvegese. In passato ha ottenuto la notorietà, per un’opera realizzata molti anni prima, “Il giorno della Resurrezione”, ma da tempo ha perso la sua più profonda vena d’ispirazione. Inoltre attraversa una crisi coniugale. Ed è innanzitutto alla moglie che confessa la propria disillusione, inquietudine, ma nell'albergo in cui alloggia ritrova Irene.
La donna, simbolo di una forte passione mai più ritrovata, è stata la musa e la modella de “Il giorno della Resurrezione”. Ora però è quasi uno spettro e, in una sorta di delirio, gli rinfaccia di averle rovinato la vita, e gli confida una sua “non esistenza”, pervasa ormai da distruttivi rintocchi di morte. L’uomo la persuade però sulla possibilità, per loro due, di percorrere la vita che non hanno vissuto. In cammino verso la cima di una montagna, meta con cui vogliono celebrare un ricongiungimento, lo scultore e la sua musa perduta e ritrovata moriranno, travolti da una valanga.
«In questo testo – spiega Rajeev Badhan - assistiamo a dialoghi tra “morti” che, inconsapevoli della loro condizione, vivono e discutono del loro declino. Il mio lavoro cerca di restituirne l’intimità e le suggestioni attraverso l'intreccio del teatro con le nuove tecnologie». La linea di ricerca della compagnia di Badhan ed Elena Strada (entrambi in scena con Alberto Baraghini e Rebecca Sisti, ed Enrico Malatesta alle percussioni, oggetti e dispositivi sonori) vede l’utilizzo delle nuove tecnologie appunto come mezzo per rinnovare diversi linguaggi artistici, in un’ottica multidisciplinare e di contaminazione che coinvolge lo spettatore.
Dopo “Le notti bianche” di Dostoevskij, proposto nella scorsa stagione alla Sala Bartoli, la peculiare esplorazione di SlowMachine si sviluppa ulteriormente in questo lavoro prodotto con il sostegno di MibAct. «La riflessione è sulla vocazione artistica - conclude il regista - e sull’intreccio indissolubile tra vita e arte, quest'ultima quale realizzazione di sé in quanto forma di presenza, ma anche sulle aspettative mancate e sui rimorsi di un’esistenza forse non pienamente vissuta».
E, a 125 anni dalla sua prima messa in scena, il testo di Ibsen, in questa rilettura, vede la tecnologia essere sia un veicolo di comunicazione, e creatività contemporanea, sia una straniante protagonista. A sua volta, sì, poiché un interrogativo posto dallo spettacolo è anche su cosa significhi, oggi, il suo intrecciarsi con l'arte e la modernità. Info: www.ilrossetti.it. —
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