Trieste, la città multiculturale tra le tombe
TRIESTE. Perché visitare un cimitero? «A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti», verseggiava Ugo Foscolo nel carme “Dei Sepolcri”. Dove le urne rappresentano anche la volontà di celebrazione e di memoria di persone e famiglie, costruendo il mosaico di memorie cittadine, ricordi e gesta della grande borghesia mercantile e commerciale ottocentesca a Trieste che nelle diverse confessioni religiose qui si ricompone.
Dopo la prima sepoltura nel cimitero cattolico a Sant’Anna, il Governo assegnò dei lotti di terreno limitrofi alle diverse comunità a titolo gratuito. I primi a beneficiarne furono la comunità serbo-ortodossa, seguita da quella greco-orientale (1829). Successivamente, dal 1842, arrivarono i cimiteri augustano, anglicano, israelitico, militare e turco o ottomano.
Prendendo la via Slavich si incrocia l’ingresso del British cemetery. Angolo minuto, quasi un giardino dove ai lati del sinuoso lastricato sono disposti sobri avelli. Una piramide racconta dello scrittore anglo-irlandese all’epoca considerato un serio rivale di Charles Dickens, Charles Lever, già console a Trieste che qui riposa insieme alla moglie Kate. Una curiosità: sotto una stele si trova anche Stanislaus, il fratello docente universitario di James Joyce, che lo chiamò a Trieste nel 1906.
Pochi passi più avanti è il cimitero evangelico, che apre a un viale su cui tra alti fusti si dipanano piccoli corridoi ghiaiosi ritmati da basse siepi di bosso dove riposano gli appartenenti alle comunità evangeliche di confessione augustana, luterana, elvetica e alla comunità anglicana. A tombe ornate con semplici urne fanno da contrappunto per monumentalità il salotto dei sepolcri di famiglie i cui nomi hanno fatto grande l’emporio triestino come, ad esempio, i Bois de Chesne, gli Escher, gli Engelmann, gli Hausbrandt. Un angelo mollemente adagiato riposa sostenendo il gomito su un’urna, delicata opera del milanese Donato Barcaglia per il barone Carlo de Rittmeyer e la consorte Cecilia.
Imboccata la via della Pace ci si trova in una strada cinta da due lunghi muri su cui si aprono quattro cancelli che introducono ad altrettanti mondi silenziosi.
Soldati di diverse nazionalità, ma anche semplici cittadini, riposano gli uni a fianco gli altri nel cimitero ex militare. Qui c’è la tomba della famiglia di Diego de Henriquez (1909-1974), studioso e collezionista appassionato di reperti bellici che gli sopravvivono oggi in un eclettico museo. In fondo, in un angolo, la lapide dedicata a Guglielmo Oberdan: le cui spoglie sono oggi custodite nel cimitero cattolico.
Riguadagnata la strada ecco l’ingresso al cimitero-serbo ortodosso. Semplici croci in pietra, anche decorate con ancore che sigillano il legame con il mare e il commercio, dialogano con le sontuose, monumentali tombe familiari delle genti slave giunte a Trieste e qui prosperate. Tra quelle più suggestive è la tomba Ivanković: una donna in costume erzegovese seduta, scolpita dal famoso artista Ivan Rendić negli anni Ottanta dell’Ottocento. Il milanese Emilio Bisi firma la ricca e complessa tomba di Alessandro Covacević e della moglie Maria, i mezzobusti dei quali si trovano ai piedi del piedistallo dove primeggia la statua della Giustizia in trono, sita dentro un’edicola dall’estetica moresca. Qui si trova anche il più grande attore comico di Trieste, Angelo Cecchelin, che portò il dialetto triestino sui palcoscenici d’Italia.
A pochi metri di distanza, il cancello del cimitero ebraico apre a una vegetazione fitta e lussureggiante che cela centinaia di lapidi creando uno spazio ricco di suggestione memore di atmosfere praghesi. All’ingresso un monumento ricorda gli ebrei triestini scomparsi durante la Shoah. A fianco, tombe come piccole cattedrali delle grandi famiglie ebraiche espressione del potere economico. La tomba della famiglia Morpurgo de Nilma è raccolta in un sacello a forma di tempio classico e accanto la famiglia Cohen Ara riposa in una monumentale tomba in stile neogotico. Nel viale centrale le tombe dei rabbini, qui traslate dall’antico cimitero di via del Monte.
Lapidi, piramidi di pietre, monumenti funebri con stemmi familiari e tombe celate dall’edera si moltiplicano nel verde, come le steli di tradizione askenazita, in contrapposizione alle lastre di pietra orizzontali di tradizione sefardita. Camminando sul soffice muschio si incrocia la tomba di Elio Schmitz, fratello dello scrittore triestino Italo Svevo, morto all’età di soli 23 anni che qui riposa insieme ai genitori, non molto lontani.
La religione ebraica vieta l’uso di immagini per ricordare gli estinti. Con alcune eccezioni come le mani aperte simbolo della famiglia Cohen. Ma l’esempio più significativo è senz’altro la tomba della dodicenne Margherita Arnstein, dove il lenzuolo scolpito su cui sono sparse delle rose rimanda al capo e ai piedi, lasciando all’immaginazione di intravedere un possibile corpo.
Procedendo oltre si entra nel cimitero greco-orientale, progettato dall’architetto Antonio Butazzoni che in città declinò il Neoclassicismo. Similmente al cimitero serbo anche qui un vialetto d’ingresso conduce a una cappella bianca di gusto classico. Piccoli templi riposti, costruzioni con trionfi di pinnacoli svettanti al cielo si alternano stretti gli uno accanto agli altri. Su molte tombe le iscrizioni svelano i luoghi di provenienza: dal Peloponneso alla Macedonia.
In questo cimitero si trovano molti cognomi legati a importanti palazzi del centro, come Carciotti (Kartsiotis), Economo (Oikonomou); o cognomi di personaggi illustri tra i quali Xydias, Cumano, Sofianopoulo. E, a sorpresa, lo scrittore e diplomatico francese Paul Morand.
«E cosa possiamo dire del Cimitero turco a Trieste? », interrogava Vincenzo de Drago nel 1870 nell’opera “Una passeggiata alle tombe”. Il cimitero ottomano si trova al termine di una piccola discesa in via Costalunga. Vi si accede tramite un cancello a ferro di cavallo al cui fianco c’è una fontana in pietra che reca la scritta: «Per capirsi non bisogna parlare la stessa lingua, ma bisogna condividere gli stessi sentimenti». Le sepolture, da quelle più antiche a quelle più moderne, come spiega Cristina Rovere nel saggio “Tracce islamiche nella Trieste dell’Ottocento”, rispondono ai precetti che vanno dall’orientamento delle lapidi verso la Mecca alla presenza di un edificio con cupola a mezzaluna adibito al lavaggio delle salme. Nella parte anteriore del cimitero ci sono le lapidi più recenti. Nell’angolo in fondo a sinistra sono conservate le tre lapidi più antiche che, sulla sommità, portano un copricapo, un turbante: riservate alle sole sepolture di uomini, indicavano differenze sociali e di status, che insieme alle iscrizioni tratteggiavano la personalità del defunto.
Un monumento: questo è anche il complesso monumentale di Sant’Anna, un museo d’arte e un condensatore di storie. —
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