Trieste, ecco perché i "prof" non conoscono la lingua italiana

TRIESTE L’Accademia della Crusca dedica sistematicamente una pagina del suo sito al "tema del mese": un argomento di attualità, riguardante ovviamente la lingua italiana, sul quale la Crusca intende sviluppare il dibattito. Il tema di giugno è "Ma non si dovrebbe insegnare anche la lingua italiana? Il problema della valutazione della competenza linguistica nelle prove del Concorso docenti 2016".
Alla base della discussione ci sono le prove del "concorsone" per le cattedre di materie letterarie nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, che si è svolto in maggio. Le domande sono state quattro di letteratura, una di geografia e una sulla costituzione; nessuna di lingua italiana.
L'Asli, l'associazione che riunisce i professori universitari di Linguistica italiana, ha denunciato il fatto in un documento inviato al Ministero. Dice l'Asli: ha senso lamentarsi periodicamente per gli scarsi risultati dei nostri studenti nelle prove Ocse-Pisa relative alla lingua materna, e poi non appurare se i futuri docenti hanno una preparazione adeguata per insegnare la lingua italiana?
È coerente aver cercato, per la prima volta, di verificare che i futuri insegnanti, anche di italiano, conoscano almeno una lingua straniera e non aver pensato di valutare la loro capacità di riflettere e far riflettere sulla lingua nazionale?
Sono convinto che questa evidente incoerenza, anzi questo vero e proprio non senso, sia un tassello di una più generale insensatezza delle pratiche del Ministero dell'Istruzione a proposito della lingua italiana. L'insensatezza più vistosa è che l'assenza di quesiti sulla lingua italiana è contraddittoria rispetto alle recenti decisioni che riguardano la preparazione degli studenti che vogliono avviarsi alla professione di insegnante: per le classi di concorso di materie letterarie e di italiano per stranieri sono stati aumentati i crediti obbligatori di Linguistica.
I maligni hanno visto in questa innovazione un favoritismo della ministra e del capo del Dipartimento per la formazione superiore, entrambi linguisti, nei confronti della disciplina da loro stessi professata. Io la vedo in maniera diversa e più positiva: finalmente nei luoghi in cui si decidono i percorsi per preparare gli insegnanti ci sono persone che sanno quanto sia importante la conoscenza della linguistica per poi insegnare bene l'italiano e cercano di trasformare questa consapevolezza in norme operative.
Però, la consapevolezza dell'importanza della formazione sulla lingua non si trasmette ai funzionari che sono poi chiamati a realizzare concretamente le politiche relative all'istruzione. E qui bisogna essere drastici: i funzionari del Ministero dell'Istruzione hanno pessime competenze di lingua italiana, forse le peggiori tra tutti i funzionari pubblici italiani.
Un paio di anni fa Claudio Giunta, professore di Letteratura italiana all'Università di Trento, editorialista dell'Internazionale, ha analizzato un'illeggibile circolare del Ministero dell'Istruzione e ha definito l'italiano di quel testo una «lingua disonesta», una lingua scritta da «chi non sa bene che fare, non ha le idee chiare, non vuole assumersi le responsabilità che gli competono» e lascia al lettore «il compito di decifrare, di leggere fra le righe, di stiracchiare le parole e i concetti dalla parte che vuole».
Gli esempi di lingua disonesta sono numerosissimi: nel 2013 il direttore generale del Ministero ha firmato questo capolavoro di antilingua burocratica: «Con la presente, anche a seguito delle richieste di proroga pervenute da molte Commissioni e tenuto conto dello stato dei lavori della maggioranza delle stesse, si comunica che è in corso di perfezionamento il DPCM finalizzato a concedere la proroga del termine dei lavori fino al termine massimo del 30 novembre p.v.» (il significato è: a grande richiesta abbiamo deciso di portare al 30 novembre la data entro cui le commissioni devono concludere i loro lavori. Il decreto non c'è ancora, ma state tranquilli, arriverà).
Chi ha scritto i recenti temi della maturità ha etichettato così un brano proposto agli studenti: «Dal discorso di Robert Kennedy, ex-senatore statunitense, tenuto il 18 marzo del 1968; riportato su "Il Sole 24 Ore" di Vito Lops del 13 marzo 2013": a parte il fatto che Vito Lops sembra il direttore o il proprietario del "Sole 24 ore", definire Robert Kennedy "ex senatore" sarebbe come parlare di Luigi XIV, il Re Sole, o di Karol Wojtyla chiamandoli, rispettivamente, "ex re di Francia" o "ex Papa Giovanni Paolo II". Chi mai si esprimerebbe così?
Ultimo esempio della scarsa considerazione per la lingua italiana: il Ministero e l'Anvur (l'agenzia di valutazione delle università) ricorrono sempre più spesso ad anglismi, per denominare concetti relativi alla gestione dell'Università che potrebbero benissimo essere rappresentati da parole italiane. Il fenomeno è stato recentemente denunciato dal gruppo Incipit che opera nell'ambito dell'Accademia della Crusca.
Se questi esempi dimostrano quanto scarsa sia l'attenzione per la lingua italiana da parte di molti funzionari dell'apparato ministeriale, ci meravigliamo perché a nessuno di loro è venuto in mente di scrivere almeno un quesito sulla lingua italiana da sottoporre ai futuri insegnanti?
Faccio una proposta alla ministra Giannini: accanto alle Olimpiadi dell'italiano, che meritoriamente il Ministero propone alle scuole italiane per mettere in luce gli studenti che hanno le migliori capacità di scrittura e di analisi della lingua, non sarebbe possibile indire delle gare di italiano per i suoi funzionari?
Temo che farebbe fatica a trovare una giuria disposta a sorbirsi i prodotti testuali dei burocrati, ma certamente instillerebbe qualche dubbio o qualche riflessione tra i migliori dei suoi funzionari. E comunque darebbe un riconoscimento a quanti tra di loro non offendono, nei loro scritti, la lingua italiana. Io non ne ho mai trovati, ma sono sicuro che ce ne sono.
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