Trieste, all’Alfabeto Schmidl il tesoro di cent’anni di teatro
A palazzo Gopcevich una fantasmagoria di personaggi ed oggetti legati alla storia dell’arte teatrale in città
Dalla A di Archivi, a partire da quello di Carlo Schmidl, che costituisce l’ossatura di uno dei nuclei fondamentali delle collezioni del museo a lui intitolato, alla B della mezzosoprano triestina Fedora Barbieri, una delle voci più applaudite del Novecento alla C di Angelo Cecchelin, attore che ha incarnato con la sua irresistibile vis comica l’anima della città. Passando per la I del compositore giuliano Antonio Illersberg, la L di Franz Lehár che ha avuto con Trieste e con Schmidl un rapporto speciale; la S di Giorgio Strehler, regista centrale nella storia dello spettacolo europeo del secolo scorso e la V di Giuseppe Verdi, legatissimo al capoluogo giuliano dove ha tenuto due prime assolute e al quale venne intitolato il Teatro Comunale il giorno stesso della morte. Fino alla W di Richard Wagner, la cui prima apparizione a Trieste risale al 1876 con la rappresentazione del “Lohengrin” e alla Z dell’Album amicorum del governatore Karl von Zinzendorf, costituito da 81 ritratti che svelano i volti dei personaggi che gravitavano nella cerchia del primo fautore del successo del Porto Franco.
A contenerli, l’abecedario che caratterizza la mostra a ingresso libero “Alfabeto Schmidl. 100 anni di Museo Teatrale” realizzata in occasione del centenario per raccontare la storia e descrivere, dalla A alla Z, appunto, le collezioni conservate dalla struttura di via Rossini. La rassegna espositiva raccoglie costumi e gioielli di scena, manifesti, locandine, fotografie, stampe, medaglie, dipinti, strumenti musicali, cimeli, libri, fondi archivistici e manoscritti che costituiscono l’ossatura di un autentico patrimonio che continua a incrementare le sue collezioni nello spirito del fondatore.
Già nel 1913 Schmidl – editore musicale e mecenate – aveva manifestato la volontà di rendere di dominio pubblico la sua raccolta storico-musicale. Un desiderio che si concretizza, un decennio più tardi quando stipula con il Comune una convenzione ai sensi della quale, nel dicembre di un secolo fa, il museo viene inaugurato all’interno del teatro Verdi che lo ospiterà fino alla chiusura per ristrutturazione e del quale lo stesso donatore viene nominato curatore a vita. Alla sua morte, Schmidl lascia la raccolta in eredità al Comune. Dopo una sede provvisoria a Palazzo Morpurgo, il Museo Schmidl trova la sua definitiva collocazione a Palazzo Gopcevich.
Il fondo Schmidl comprende lettere, fotografie e una grande quantità di documenti conservati da lui personalmente che permettono di ricostruire la storia della città attraverso le sue vicende teatrali e musicali. L’esposizione – visitabile nella sala Attilio Selva di Palazzo Gopcevich (sede del Museo Schmidl) fino a domenica 4 maggio 2025 da martedì a domenica con orario 10-17 – suggerisce inediti percorsi di lettura e approfondimento delle collezioni: da quella primigenia di Schmidl a quelle che si sono aggiunte nel tempo, come il fondo Strehler e quelli dei teatri cittadini, a iniziare dal Verdi. «Il percorso espositivo – spiega Stefano Bianchi, conservatore del Civico museo e curatore della mostra assieme a Elisabetta Buffulini, Emilio Medici e Cristina Zacchina, con la collaborazione di Francesco Recanati e Cristiano Rossetti – è stato immaginato come un dizionario anche in virtù del fatto che Schmidl avesse realizzato proprio un dizionario universale dei musicisti».
Lunghissima la lista di protagonisti e testimoni di un viaggio nella cultura teatrale e musicale cittadina custodita nelle collezioni del Museo, che costituiscono l’ossatura dell’esposizione, a cominciare dagli archivi e la biblioteca. E non mancano le curiosità. Tra queste, spiccano i “Violini in trincea” inseriti alla lettera “V” . «I violini in trincea – riprende Bianchi – sono quelli appartenuti a Carlo Stuparich e a Gianni Pavovich: due giovani violinisti – uno dilettante e l’altro professionista – che nel maggio del 1915 partirono da Trieste per raggiungere il fronte della Grande guerra e arruolandosi da volontario nell’esercito italiano e l’altro in quello austriaco. I due violini che hanno suonato nelle trincee contrapposte sono pervenuti nelle collezioni museali alla fine degli anni Novanta grazie a due donazioni separate, ma in questa mostra risuonano assieme». Ad arricchire la visita, alcuni filmati a cura di filmati a cura di Diego Cenetiempo e Alessio Bozzer. Progetto grafico e di allestimento sono di Matteo Bartoli per Basig e la stampa dei materiali esposti a cura di Artgroup. —
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