Trieste abbracciò il marine
Giuseppe Pagliacci, pilota della Marina, fu il primo militare a entrare in città. Ammarò e decise di godersi la festa

Ma furono veramente i bersaglieri i primi militari italiani a entrare a Trieste alla fine della Prima guerra mondiale? Non fu così. La storia è rispolverata da Mario Tomarchio, storico dilettante triestino che ha riesumato il racconto pubblicato sul periodico “La Lettura” del Corriere della sera del primo agosto 1919, ma è anche contenuta, tra l’altro, pur senza grande evidenza, nel libro di Piero Sorè “L’aviazione nel Nord-Est. Storia dei campi di volo del Friuli Venezia Giulia 1910-2007”.
“La Lettura” riporta un lungo articolo scritto nel 1919 da Otello Cavara, tenente pilota della Marina militare e giornalista. Ecco i passi decisivi. “2 novembre. Sotto nubi basse sei idrocaccia in festa, con bandierine ai montanti e alla coda, vanno in cerca del tricolore triestino. Meritano questa gioia. Per tre anni avevano fatto la guerra con la buona e la cattiva sorte. Ora recano il primo annuncio della vittoria: vanno a respirare l’atmosfera di Trieste… L’arco diafano di Trieste si disegna mollemente sullo sfondo del Carso. I sei piloti incontreranno pace o guerra? Spareranno gli antiaerei? Saliranno i velivoli crociati? In stretta formazione di combattimento, in reciproca vigilanza di difesa, i sei puntano cautamente sulle dighe. Nessuna reazione. Riprendono la linea di volo su Muggia, si librano sui sobborghi, sono sulla città. Da bianca, Trieste diventa nera. I tetti, i balconi, le vie, i moli si punteggiano. I sei aerei tricolori, attratti, affascinati, cedono come ad un abbraccio. Scendono a cento metri…”.
Inevitabili i toni retorici di molti passi del racconto sui quali risulta opportuno “sorvolare”. Si arriva poi al momento culminante. “Il capo pattuglia, con movenze convenute dell’apparecchio, ordina “adunata”. Tre ufficiali ubbidiscono immediatamente. Due marinai non ubbidiscono. Uno di costoro scende a lambire l’acqua del porto, l’altro scende addirittura. Negli ufficiali la disciplina vince l’entusiasmo, nei marinai l’entusiasmo vince la disciplina. Tornano a Venezia in cinque a recare la storica novella: “Trieste è in tricolore. Chiama gli italiani”. Il sesto pilota intanto è in piena apoteosi. È lui il primo italiano che entra in Trieste. Precede il governatore. Andrà in prigione, ma intanto si gode un trionfo impareggiabile. I triestini onorano in lui un simbolo, ma egli, sentendosi abbracciare e chiamare per nome, coprire di fiori, prova soddisfazioni personali di cui fa testimonianza la lettera scritta allorché, tornato alla sua stazione di idrovolanti fu messo in riposo”. Pare di capire che si sia trattato di cella di rigore per aver trasgredito agli ordini.
Il marinaio, primo militare italiano a essere entrato a Trieste, è Giuseppe Pagliacci, medaglia d’argento al valor militare. Faceva parte della 260.ma squadriglia, reparto da caccia attivo nel Servizio aeronautico della Regia marina. La squadriglia si era costituita a Venezia il 1º novembre 1917 montata su Macchi M5 al comando del Tenente di vascello Luigi Bologna. Il 22 aprile 1918 Pagliacci, assieme al guardiamarina Alberto Calvello e al 2° Capo Andrea Rivieri, aveva abbattuto un idro Lohner R nelle acque di Fasana. Il 4 maggio ancora Pagliacci assieme ai commilitoni Martinengo, Calvello, Rivieri e Jannello aveva abbattuto su Trieste ben tre caccia austriaci alla guida di uno dei quali uno c’era l’asso della Marina austriaca Goffredo de Banfield, costretto ad ammarare.
Subito dalla cella, Pagliacci scrive una lettera al suo comandante. “Caro comandante, mi trovo in prigione e ne sono contento perché dopo una soddisfazione tale che io non dovevo provare ci vuole un castigo. La festa che mi fecero i cittadini di Trieste italiana è cosa da non poterla descrivere. Fui portato in trionfo da un’immensa folla di circa ventimila persone, fui ornato di fiori, baciato dalle migliori signorine e tempestato di domande. Trasportato fra tanto delirio al palazzo degli uffici dalle migliori autorità, parlai poche parole alla folla che attendeva fuori del balcone…”. In prigione era finito anche l’altro marinaio che aveva ammarato, pur senza scendere in città, il sottonocchiere pilota e medaglia di bronzo Emilio Dri. Scrive ancora Cavara sul supplemento del Corriere della sera: “La relazione recata dai cinque idrovolantisti il 2 novembre, decise l’immediata occupazione di Trieste”. “Il 3 novembre 1918 (lo stesso giorno dell’arrivo dell’Audace, ma il giorno dopo l’impresa di Pagliacci,
ndr
) – scrive Piero Soré – una sezione di idrovolanti della 261.ma squadriglia di Venezia al comando del tenente di vascello Orazio Pierozzi ammarò con i suoi piloti nella baia di Muggia dove quattro boe indicavano la tomba della Wien e prese possesso degli hangar della stazione austriaca di Trieste. Pierozzi incontrò subito il parigrado Banfield, eroe nazionale terrore dei suoi, ma tra i due ci fu freddezza e diffidenza”.
Pierozzi durante tutta la guerra era stato impegnato nel contrasto all'aviazione austro-ungarica sul Mar Adriatico e ottenne sette vittorie aeree, diventando un asso dell'aviazione e l'ufficiale della marina italiana con il maggior numero di vittorie aeree nel conflitto. Era uscito indenne da una guerra, cento duelli e cento agguati, ma il destino cinico lo attendeva comunque al varco. Racconta Tomarchio: “Lunedì 17 marzo 1919 (appena quattro mesi dopo la fine della guerra,
ndr
) Pierozzi era partito da Venezia su un idrovolante M9 con a bordo il tenente di vascello Aimone di Savoia duca di Spoleto. Una raffica di bora capovolse l’idrovolante abbattendolo a un chilometro dalle dighe del porto di Trieste. Il piroscafo Tergeste recuperò i due aviatori, ma Pierozzi morì il giorno dopo all’ospedale militare di Trieste. Aveva 29 anni”. Gli è stata conferita la medaglia d’oro al valore della Marina.
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7-Continua
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