“Trainspotting 2”, il bello del remake

Confermato il vecchio cast, il regista Boyle crea un cocktail di puro cinema, con humour

Ventuno anni sono trascorsi dal successo di “Trainspotting”, il film che rivelò il talento del regista inglese Danny Boyle (“The Millionaire”) e che diede avvio alla cosiddetta “British Renaissance” cinematografica. Fece rumore quella storia cruda e dissacrante ambientata a Edimburgo, che fu subito cult, nata letterariamente dalla penna di Irvine Welsh, scrittore cresciuto proprio tra gli squallidi complessi residenziali di Muirhouse.

Il bello di questo remake (e il nuovo) è innanzitutto la conferma da parte di Boyle del cast del ’96 con i relativi e ormai mitici personaggi, i quattro amici al pub, tutti ancora in forma smagliante come interpreti. Qui Mark Renton (Ewan McGregor) ritorna a Edimburgo per riconciliarsi con il vecchio gruppo. Ci sono Daniel Murphy detto Spud (Ewen Bremner) e Simon Williamson detto Sick Boy (Johnny Lee Miller), mentre Francis Begbie detto Franco (Robert Carlyle) è appena uscito di prigione. E rivediamo Diane (Kelly Macdonald), la vecchia fiamma di Mark. Anche Welsh ha accettato di ritornare con John Hodge alla sceneggiatura (nomination all’Oscar nel ’96). Certo sono cambiati i tempi e di conseguenza, rispetto a vent’anni fa, non si usano i lettori cd ma facebook e twitter. E nemmeno Mark e i suoi squattrinati amici sono più vittime passive della tossicodipendenza. Tracce di droga in “Trainspotting 2” ce ne sono poche, e mancano anche i riferimenti al business del sesso, tema centrale di “Porno”, romanzo del 2002 da cui è stato tratto l’adattamento cinematografico. Inoltre, rispetto al primo fortunatissimo “Trainspotting”, le cui riprese furono effettuate quasi tutte a Glasgow e dintorni per mancanza di soldi, stavolta è Edimburgo la vera protagonista, con i pub di periferia e le sciarpe delle squadre di calcio appese alle pareti, sale da biliardo affollate, casermoni cadenti e Mark che corre come un indemoniato per le vie del centro. In definitiva, Boyle è stato di nuovo bravo a creare un cocktail di puro cinema. Più una riflessione con humour sulla mezza età che è uno schiaffo al mondo, dove la vitalità è venuta meno ma l’anarchia resiste, come i ricordi, i rimpianti e, ancora, “Born Slippy” degli Underworld. (p.l.)

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