Tornano in libreria i “Pomes Penyeach”, versi triestini di James Joyce

Nuova edizione del volume di poesie dello scrittore irlandese, impressioni di paesaggi e storie d’amori traditi

Mary B. Tolusso
Lo scrittore irlandese James Joyce, i suoi “Po(e)mi da un penny” tornano ora in una nuova edizione
Lo scrittore irlandese James Joyce, i suoi “Po(e)mi da un penny” tornano ora in una nuova edizione

Joyce non ha pubblicato molte poesie in vita: “Chamber Music” (1907) ed esattamente vent’anni dopo “Pomes Penyeach”. Certo ci rimane anche quel capolavoro che è “Giacomo Joyce”, un poemetto ambientato a Trieste e che dopo la versione di Guanda, in Italia ha incontrato diverse traduzioni, tra le migliori quella di Alberto Pellegatta. Una scala a pioli verso l’Ulisse, la definisce Pellegatta, un libro notturno, sporco, ma impeccabile. E la salita è irta di collegamenti letterari: da Omero a Mallarmé, da Leopardi a Svevo fino a Gioacchino da Fiore e Brunetto Latini.

Eppure pare scritto l’altro ieri. Un Joyce poco più che trentenne ci parla dell’amore come fosse già un rimpianto, con donne triestine esangui e crudeli. Ma se il “Giacomo” fu pubblicato solo a partire dal 1967, Trieste nei versi di Joyce compare già molto prima, in quelle “”Pomes Penyeach” che trovano ora una nuova traduzione a cura di Andrea Carloni (Samuele Editore, pag. 136, euro 15). Il titolo è un gioco di parole, ispirato ai venditori ambulanti di mele a un penny l’una, quindi il gioco sfrutta l’assonanza tra “pomes” e “poems”. E infatti fu messo in vendita a uno scellino, cioè dodici pence.

La raccolta include dodici poesie composte tra il 1912 e il 1924 con l’aggiunta della prima, “Tilly”, scritta precedentemente a Dublino e aggiunta alla silloge gratuitamente. Ma la maggior parte dei componimenti fu scritta qui. Se in “Giacomo”, forse, Joyce ci ha restituito una città più torbida, votata alla contraddizione e assistita da stelle fredde (“Pure Trieste si sta svegliando gelida: la fredda luce solare sull’accalcamento di tetti marroni…”), nelle poesie da un penny i testi sono più “contenuti”. O forse apparentemente contenuti. Dietro ogni verso di Joyce c’è sempre un riferimento, una citazione, una connessione che rimanda al resto dell’opera. Una poetica che la versione di Carloni esamina anche grazie a una limpida appendice, utilissima per invitarci dentro l’apparato letterario joyciano, non certo semplice, ma qui sostenuto da una facile linearità.

Ad aiutarci in questo percorso guidato, un altro testo fondamentale: “La sfida della natura in Poems Penyeach di James Joyce” a firma di Jefferson Holdridge, docente della Wake Forest University in North Carolina e specializzato nella storia, cultura e politica dell’Irlanda e dei suoi scrittori. Le poesie a un penny triestine, ideate tra il 1912 e il 1915, possono rientrare in quella che Montale definì come poetica dei suoi “Ossi di Seppia”, ovvero: paesaggio, amore, evasione. Ce lo dice appunto Holdridge, mettendo in contrapposizione questo giudizio a quello meno convincente di Seamus Heaney. E ricordiamoci infatti che Montale ha tradotto due poesie della raccolta, denunciando un certo spirito affine al grande autore irlandese. Effettivamente le ambientazioni paesaggistiche riflettono il tono delle poesie. E l’amore compare in quasi tutte.

Così ritroviamo un inno alla giovinezza perduta in “Guardando le barchelago a San Sabba”, ispirata dalla vista di giovani rematori in gara (fra i quali c’era anche il fratello Stanislaus), poesia tra l’altro inclusa a una lettera al fratello, nel 1913, dedicata ai suoi giovani amici del Club di Canottaggio. L’amore per una relazione finita è ritratto in “Un fiore donato a mia figlia”.

E quando si parla di amore, in Joyce, difficilmente non si parla di tradimento. Tradimento di una donna. O della patria. La poesia “Lei piange su Rahoon” fu comunque scritta nel capoluogo giuliano. Mentre in “Tutto è sciolto”, l’adulterio è collegato al fallimento di un amore triestino. Ma in alcuni appunti datati 1916, Joyce associava questo titolo a un altro episodio di gelosia: il corteggiamento di Roberto Prezioso, co-direttore del Piccolo, alla moglie Nora. E ancora l’affetto per il figlio Giorgio viene proiettato “Sulla spiaggia a Fontana”, uno stabilimento balneare che si trovava sul molo Teresiano a sud di Trieste, mentre in “Semplici” è proiettato quello per la figlia, in questo caso anche icona di un autentico rapporto con la natura che non dovremmo mai tradire. Certo non finisce qui.

Trieste si fa soglia di una poetica più complessa, che coinvolge musica, retorica, l’interazione con altre opere e altri grandi autori.

Inizia qui anche per Joyce quella visionarietà e quello sperimentalismo che hanno fatto della città l’unico punto italiano vocato a entrare nell’officina linguistica dei padri del modernismo. —

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