Tippett: «I dinosauri di Jurassic Park? Li sognavo da bambino vedendo King Kong»

Oggi la consegna del Premio Asteroide alla carriera al mago degli effetti speciali di grandi film da Piraña a Guerre Stellari
Foto BRUNI Trieste 02.11.2019 Trieste Film di fantascienza-Phil Tippet,regista
Foto BRUNI Trieste 02.11.2019 Trieste Film di fantascienza-Phil Tippet,regista

TRIESTE. Il Premio Asteroide alla carriera di Science+Fiction 2019 è stato consegnato oggi, domenica 3 novembre, al 68enne californiano, regista, produttore e creatore di effetti speciali, Phil Tippett. Due volte premio Oscar, Tippett è un genio del fantastico cinematografico contemporaneo, colui che ha dato corpo ai sogni di George Lucas per “Guerre stellari”, a Steven Spielberg per “Jurassic Park”, collaborando inoltre con Joe Dante (“Piraña”) e Paul Verhoeven (“Robocop”, “Starship Troopers”), alla trilogia di “Matrix” e alla saga di “Twilight”.

Phil Tippett ha ritirato il premio al Politeama Rossetti e per completare l’omaggio al grande artista il festival triestino ha proiettato “Phil Tippett: Mad Dreams and Monsters”, documentario di due registi francesi, Gilles Penso e Alexandre Poncet, in anteprima italiana, che svela il lavoro sperimentale che sta dietro al curriculum hollywoodiano di Tippett.

Premiato a Trieste Phil Tippett, il genio degli effetti speciali di Guerre Stellari e Jurassic Park


Folta barba bianca da guru, molto informale, scarpe da ginnastica, Tippett nei suoi ricordi trasmette tutta l’atmosfera della creatività californiana che ha generato l’immaginario (la New Hollywood) e le relazioni (i pc per tutti, i social) contemporanei. «Sono nato a Berkeley e cresciuto a San Diego – rievoca – I film che hanno acceso la mia passione sono stati il “King Kong” del 1933, visto quando avevo cinque anni, e il “7° viaggio di Sinbad” del 1958 con gli effetti di Harry Harryhausen. Ho percepito questi film come magie, ho cominciato a informarmi sui dinosauri e sui trucchi del cinema e ho capito che quella era la mia strada».

Quali sono stati i suoi primi incontri decisivi?

«Sulla rivista “Famous Monsters of Filmland” ho letto un articolo da cui ho capito il processo della tecnica in stop-motion. La rivista era diretta da Forrest J. Ackermann, scrittore e giornalista di fantascienza, che più tardi conobbi e frequentai nella sua casa-museo piena di memorabilia del fantastico, dove veniva a trovarlo spesso anche Harryhausen. A Los Angeles all’epoca frequentavo non più di sei persone dell’ambiente, ma erano quelle che mi introdussero nella pubblicità televisiva, dove appresi il ritmo veloce di lavoro. Poi a casa, nel frattempo, mi dedicavo a progetti sperimentali».

Come è entrato nel team di George Lucas?

«Frequentavo sul set del primo “Star Wars” Dennis Muren, che curava i voli in miniatura dei caccia contro la Morte Nera. A un certo punto Lucas non era contento dei mostri, secondo lui troppo tradizionali, che popolavano la celebre taverna galattica. Così Rick Baker fu assoldato per immaginare dei veri alieni e venni coinvolto anch’io. Nella sequenza indossammo tutti le maschere che avevamo creato. Il mio intervento più diretto nel film è quello della partita a scacchi fra Chewbacca e R2-D2 con ologrammi di piccoli mostri. C’era un precedente fantastico in “Westworld” di Michael Crichton con cavalieri e principesse come pedine, ma io introdussi nell’idea i miei alieni in stop-motion».

Poi ha collaborato con Joe Dante in “Piraña”.

«Joe è un grande appassionato della tecnica in stop-motion, vide il mio nome nei credits di “Star Wars” e mi chiamò. Dovevo creare gli attacchi sott’acqua dei piraña assassini e allestimmo il set di effetti speciali in una piscina olimpionica. C’erano 50 sagome di pesci che si muovevano velocemente mosse da 25 persone che facevano scorrere dei cavi al bordo della piscina. Tutto era meccanico, non era un film con un budget troppo elevato».

Quali sono state le sue realizzazioni più impegnative?

«Sicuramente “Jurassic Park” e “Starship Troopers”, con sforzi simili per impegno, ma differenti per contesto. In “Jurassic Park” noi animatori abbiamo avviato il processo dalla stop-motion al digitale. I dinosauri del film erano le prime grandi creature digitali, che però nascevano meccaniche e dovevano essere poi adattate nei loro movimenti col computer da Stan Winston. In “Starship Troopers” il processo digitale era già avviato, ma i problemi esplosero perché ci fu un lavoro enorme a causa del gran numero di creature e delle numerose scene di massa in cui gli insetti giganti combattevano».

Segue in genere le sue idee o quelle del regista?

«Seguo innanzitutto la traccia del regista, che però può essere molto esigua. Ad esempio per l’inizio dell’”Impero colpisce ancora”, Lucas aveva scritto solamente: “Luke Skywalker cavalca una lucertola sulla neve”». 

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