Tintoretto a Venezia giovinezza e maturità nell’arte del pittore furioso

Nei cinquecento anni dalla nascita un grande percorso che coinvolge le Gallerie dell’Accademia e Palazzo Ducale

il percorso



«Come un granello di pepe capace di sopraffare dieci mazzi di papaveri», così il commediografo Andrea Calmo definì in una celebre lettera il carattere forte, ribelle del suo amico Jacopo Robusti detto il Tintoretto. Figlio di un tintore di stoffe (di qui il soprannome), cresciuto tra i colori e il desiderio di trasformali in visionarie narrazioni sulla tela che potessero emulare la forza compositiva del disegno di Michelangelo e l’infinita gamma coloristica di Tiziano, Tintoretto nell’ambiente artistico veneziano era chiamato “il Furioso” proprio per la veemenza con cui dipingeva. Un carattere energico, non facile, consapevole del proprio talento e determinato ad affermarlo tanto da farsi molti nemici. Capace di sfidare la tradizione e il rigore formale classico con ardite soluzioni tecniche, stilistiche e iconografiche, Tintoretto fu un artista assolutamente unico nella Venezia del ‘500.

Al suo genio, alla sua pittura narrativa e teatrale che sconvolse i canoni dell’arte a lui contemporanea e appassionò poi artisti come El Greco, Rubens e Velasquez, sono dedicate a Venezia le celebrazioni per il Cinquecentenario della sua nascita. Tutta la città è coinvolta in un percorso di valorizzazione delle opere da lui realizzate sia in edifici di culto che in istituzioni pubbliche, a partire da Palazzo Ducale sino alla Scuola di S. Marco e a quella di S. Rocco che conserva i cicli pittorici più famosi. Al centro delle celebrazioni l’imponente progetto espositivo promosso dal Muve in collaborazione con la National Gallery di Washington (che nel 2019 ospiterà per la prima volta negli Usa una mostra dedicata al pittore veneziano) e le Gallerie dell’Accademia. Ne nascono due mostre spettacolari, coordinate da Robert Echols e Frederick Ilchman, che restituiscono il profilo e l’opera di uno dei giganti della pittura del Rinascimento.

Fino al prossimo gennaio rimarranno aperte al pubblico “Il Giovane Tintoretto” dedicata dalle Gallerie dell’Accademia alla pittura giovanile dell’artista e “Tintoretto 1519–1594” che a Palazzo Ducale racconta la maturità artistica del pittore.

“Un profeta”, lo definì lo scrittore statunitense Henry James, a testimoniare il suo genio visionario. Non a caso Tintoretto scardinò i principi del classicismo con l’energia magmatica di narrazioni dall’impianto fortemente teatrale, con la plasticità di corpi in perenne movimento, con la vibrazione di una pennellata “ribelle”, rotta a tratti da lumeggiature che sembrano “aprire” la materia rendendola inquieta, misteriosa, quasi visionaria.

Tintoretto fu senza dubbio il pittore più prolifico della sua epoca. Grazie a una velocità di esecuzione resa possibile dalle tecniche da lui introdotte e dalla gestione intraprendente della sua bottega riuscì a misurarsi con imprese pittoriche davvero sorprendenti per l’epoca, sfidando non senza una buona dose di sfrontatezza colleghi e committenti. È il caso delle opere dalle immense dimensioni realizzate quasi a prezzo di costo nella Chiesa della Madonna dell’Orto per rilanciare la sua carriera o del tondo per il soffitto della Scuola di S. Rocco che donò alla Confraternita facendolo trovare a sorpresa già montato sul soffitto per sbaragliare tutti gli altri pittori che concorrevano all’esecuzione del dipinto.

Abile regista di azioni dipinte, colorista sofisticato - usava l’intera gamma dei pigmenti disponibili all’epoca – Tintoretto riuscì a misurarsi con tutti i generi, da quelli religiosi a quelli storici, dalla ritrattistica alla mitologia, spesso usando modelli di cera teatralmente disposti per cogliere prospettive e giochi di luce e applicando il colore sulla tela con tratti lunghi quasi a disegnare con il colore. «Persino agli occhi di un pubblico abituato all’action painting e alle dimensioni gigantesche di una certa arte contemporanea – spiega Gabriella Belli direttrice del Muve - il “fuori scala” di questo autore, il suo dinamismo, la sua audace pennellata non smettono di spingere oltre i confini di ciò che la pittura può dire». —



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