Tanti auguri, Giotti: canti e “appunti inutili” per celebrare il poeta

Brani musicali inediti, voce recitante e canto per celebrare il centotrentesimo anniversario della nascita di Virgilio Giotti, la sua poesia, ma anche la sua Trieste, appartata, intima, biografica e al contempo universale nel suo racconto del microcosmo della quotidianità domestica, quale rifugio dalla tribolazioni umane e esistenziali. È l’evento proposto, alle 18, dal Circolo Generali (al 7° piano del palazzo di piazza Duca degli Abruzzi 1, al salone degli incontri) a ingresso libero sino a esaurimento posti.
Giotti, scomparso nel 1957, grande poeta triestino del Novecento con Umberto Saba, nasceva proprio in questa data, nel 1885. Lo spettacolo è ideato dalla musicista Alma Rovelli Ventura che, con brani inediti di sua composizione, accompagnerà al pianoforte le poesie in dialetto interpretate dalla voce recitante di Antonio Azzano e dal canto del soprano Elisabetta Richter e del tenore Pino Botta. Quello di Giotti, sottolinea Azzano «è un dialetto triestino particolare, più letterario e arcaicizzante, depurato dai popolarismi, probabilmente anche influenzato dalla sua permanenza a Firenze nei primi anni del Novecento, ove si recò per sfuggire alla leva austriaca. Anche la sua Trieste, in accordo con il suo carattere schivo, è diversa da quella di altri scrittori e poeti a lui contemporanei, è una città più “interiorizzata”, perché l’autore si sofferma maggiormente sull’universo delle piccole cose domestiche, familiari, alla loro semplicità carica di significato, attraverso un’epica delle cose di ogni giorno, cose e affetti che abbiamo così tanto sotto gli occhi da correre il rischio di dimenticarle».
Lo spettacolo, a cui presenzierà anche la nipote del poeta, Rina, citata in più di una lirica, intende ricostruire il percorso esistenziale di Giotti attraverso la presentazione di alcune delle sue liriche più significative e di un brano di “Appunti inutili”, il “diario intimo” composto fra il 1946 ed il 1955, pubblicato postumo e definito da Pasolini come un capolavoro del Novecento.
Una vita, quella del poeta, come ebbe a scrivere Claudio Grisancich, “sgombra da ottuse ambizioni, spoglia di averi e quasi senza egoismo, ma ricca, affollata di cronaca e di giorni tutti viventi, povera di arredi, di memorie inerti e di punti d’arrivo”, umbratile e appartata, contraddistinta dagli affetti e dai non pochi dolori familiari (sopra tutti la perdita dei figli Paolo e Franco), ma illuminata, rasserenata e riscaldata dalla delicata perfezione della poesia, che, come nella lirica “El paradiso”, solleva l’idillio domestico in una sfera mitica, un “paradiso terrestre” di piccole cose e miti sentimenti al riparo dai dolori e al sicuro dai rovesci dell’esistenza”.
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