Susanna Tamaro, la tigre paurosa che ha sfidato gli abissi della vita
TRIESTE Una tigre non può chiamarsi come la marca di un formaggino. Ma se scopre che, in realtà, dietro quel nome c’è un significato forte? Una sorta di salvacondotto per la vita? Allora Susanna diventa prima una bambina, poi un’adolescente, una ragazza, una donna, che lotta come un felino predatore per non lasciarsi dominare dagli altri. Per non farsi normalizzare dai prepotenti. Da chi ti vuole sempre imporre le sue regole. Perché lei sogna di fare la Giubba rossa, si veste da cow-boy a Carnevale, non mette mai la gonna, ma è capace di apprezzare il silenzio, la solitudine, il non far parte delle consorterie di chi tutto sa, tutto controlla, tutto domina.
Susanna Tamaro, la bambina che si sentiva una tigre ma aveva ricevuto in sorte il nome di un formaggino, ha capito molto presto che la sua vita viaggiava controcorrente. Perché la maestra le vaticinava che sarebbe finita in manicomio, a forza di farsi domande. Perché soffriva a guardare gli animali ammaestrati del circo, e i pagliacci la facevano piangere. Perché sognava di perdersi tra gli alberi e non si rassegnava a far parte di una società che ha rinunciato al trascendente. Che vive di desideri sempre un passo più avanti della possibilità di realizzarli, che ti costringe a recitare una parte. E sa tutto della vita, dell’universo, ma non riesce a spiegare la luce magica che c’è negli occhi dei bambini.
Quanto tempo c’è voluto per accettare se stessa? Quanti anni per sentirsi a proprio agio dentro il corpo di una tigre che gli altri avrebbero preferito fosse una bambola? La scrittrice di “Va’ dove ti porta il cuore”, “Anima mundi”, “Ogni angelo è tremendo”, “Illmitz” , lo racconta nel suo nuovo libro, “Un cuore pensante” (pagg. 224, euro 14), che esce oggi per Bompiani. Una raccolta di testi brevi che rimanda alla fortunata rubrica tenuta da Susanna Tamaro sul quotidiano “Avvenire”, tra ottobre e dicembre del 2014, e che qui riprende vita, ripensata e rielaborata, in tre sezioni: “Tentativi di volo”, “La parte non misurabile”, “Un faro nella notte”.
Pagina dopo pagina, questo libro diventa agli occhi del lettore un piccolo manuale laico di meditazione. Costruito su basi solidissime, non solo su approfondite, astratte riflessioni. Perché Susanna Tamaro mette in gioco se stessa. Rinuncia per un po’ a recitare il ruolo dello scrittore che racconta il mondo, guarda e commenta la vita degli altri, per poi reiventare tutto. In primo piano c’è la sua infanzia, l’adolescenza, la giovinezza che si squadernano in un alternarsi di ricordi e pensieri. Di amarezze e sogni, di illusioni e malinconie. Ma questo percorso non serve solo a inscenare una sorta di confessione in pubblico. No, perché lei viaggia nel proprio passato e racconta la trasformazione di un’anima sensibile dentro i gironi infernali della realtà. Per dare testimonianza di come si possa dare un senso alto alla propria esistenza ribellandosi al conformismo, al dilagare di verità transitorie.
Susanna, che in ebraico significa «giglio bianco», non s’è mai arresa a un mondo «che ama sempre e comunque sporcare, corrompere ciò che sporco e corrotto non è». Sì è convinta presto che la sua vita «sarebbe stata un unico e inesausto combattimento». Perché è difficile farsi capire dagli altri quando il tuo grande sogno è quello di volare, come gli uccelli dell’aria. Perché a farti piangere non sono i soliti, minimi contrattempi dell’infanzia, ma uno sgomento esistenziale. Perché la realtà ti fa sbattere contro muri di domande senza risposta. Perché preferiresti passare inosservata che giocare a sedurre gli altri. E non ti pieghi al mantra «desidero, dunque sono».
Alla trinità onnipresente nel nostro tempo, «so, controllo, domino», alla gerarchia del branco, Susanna Tamaro ha preferito la complessità delle cose. Convinta che «la vita di un essere umano è - prima di qualsiasi altra cosa - un continuo cammino verso la consapevolezza». Che richiede la grande forza di saper armonizzare gli opposti. Yin e yang, luce e tenebra, Bene e Male. E non si è mai accontentata di rifugiarsi in una fede melensa. Costruita su basi fragili, buoniste, incapaci di contenere in sé la forza dirompente del mistero. In fondo, la vita e la morte stesse prevedono che anche la persona più fifona («e io sono sempre stata paurosissima») scopra dentro di sé una forza dirompente: «Avevo anche una tigre dentro, e quella tigre, compressa da troppo tempo tra le sbarre, non desiderava altro che trasformarsi in un acrobata».
Risalendo a fatica il filo sospeso sul burrone delle proprie incertezze, Susanna Tamaro ha trovato la certezza del trascendente. Non il Dio banale che vive dentro le parrocchie e nei riti svuotati dalla sacralità, non il Signore delle preghiere biascicate con la mente impegnata in ben altre faccende. Ma una presenza che assomiglia ai semi dispersi nella polvere. Che sembrano inerti, eppure all’improvviso fanno fiorire un deserto.
alemezlo
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo