Storico dell’arte pordenonese scopre in una cantina il prezioso Hayez scomparso

la storia
Relegato in cantina, nascosto, impolverato, accantonato come un oggetto passato di moda. È stata questa, per decenni, la sorte e la collocazione del pregiatissimo dipinto di Francesco Hayez (Venezia, 1791- Milano, 1882), intitolato La Vallière ritrovato nei giorni scorsi presso l’abitazione di una famiglia milanese. A riconoscerlo, al primo sguardo, è stato uno storico dell’arte pordenonese, il quarantaduenne Matteo Gardonio, capo dipartimento di dipinti e sculture del XIX e XX secolo della casa d’aste Il Ponte a Milano. «È stata - racconta Gardonio - una scoperta incredibile e rocambolesca e, quando me lo sono trovato davanti agli occhi, ho capito subito che era “lui”, anche attraverso la polvere. Gli attuali proprietari lo hanno ereditato, ma non era di loro gusto e così lo tenevano in cantina. Poi hanno contattato la galleria per una perizia». Scoprire l'opera inedita di un grande autore è il sogno di sempre di tutti i grandi storici dell’arte, un po’ come per un archeologo disseppellire i resti di una città scomparsa nel deserto. Anni e anni di studi a compulsare opere, a perfezionare lo sguardo sulle pennellate, sullo stile, sul modo di scegliere e accostare i colori di un artista o di un secolo, sulle differenze tra un autore e l’altro: è questa la connesseurship, la disciplina del vero conoscitore d’arte teorizzata dal grande Bernard Berenson. E Gardonio è un preparatissimo otto-novecentista: ha avuto qui l’occasione di dimostrarlo, anche se a sentire lui è stata un’agnizione naturale. «L’Ottocento è il mio mondo, lo studio da quando ‘ero piccolo’. Riconoscere la mano di Hayez è stato quasi immediato. Se fosse stato un Tiepolo o un Picasso non sarebbe stato altrettanto semplice. Di Hayez ho notato subito la caratteristica di tirare gli occhi alle figure, il suo modo metallico di accartocciare le vesti, così unico. E poi la mia formazione è proprio sulla “scuola pittorica veneta” e Hayez aveva assorbito la lezione di Tiziano e dei veneti». Il dipinto, un olio su tela non firmato, misura 70x95 e raffigura Re Luigi XIV respinto dalla sua amante madame de La Vallière nel convento carmelitano delle Figlie di Santa Maria di Chaillot, dove lei si era rifugiata ad espiare il proprio passato. Era stato presentato da Hayez all’Esposizione annuale dell’Accademia di Brera nel 1838 e da allora nessuno lo aveva più visto: «Sparito dai radar», dice Gardonio. Il maggior esperto mondiale di Hayez, Ferdinando Mazzocca, aveva sì reperito i documenti che ne attestavano l’esistenza, ma l’opera era considerata perduta. «Una volta che abbiamo fatto ripulire il quadro, il professor Mazzocca è venuto a vederlo e ha esclamato: “Lo cercavo da una vita”. È stato un momento intenso di condivisione». Un risultato importante nella carriera di Gardonio, formato alle università di Trieste e Venezia con un dottorato a Parigi, ha lavorato al Centro studi sul vetro della Fondazione Cini e alla Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste come esperto di opere d’arte e curatore di cataloghi, per poi approdare a Milano. «Anche se ci sono venuto a malincuore, Milano finora mi ha portato bene. E Hayez fece la sua fortuna una volta stabilitosi a Milano: veneziano di nascita, era milanese d’adozione, un po’ come me. Forse il destino passa anche per questi fili». Ora il dipinto andrà all’asta il 16 giugno assieme ad altri lotti importanti: «La base d’asta parte da circa 35/40mila euro, una stima bassa per far partire la gara. L’asta in sé rappresenta una delle più importanti degli ultimi quindici anni perché siamo riusciti a portare la collezione Bernasconi, con capolavori di Mosé Bianchi, Ettore Tito, Pompeo Mariani, Francesco Paolo Michetti. Ci sarà anche il primo autoritratto di Achille Funi fatto a Milano, un ‘selfie’ del 1908 dove lui colloca una scultura alle proprie spalle per affermare il primato della pittura. Parteciperanno diversi acquirenti stranieri: vedremo come andrà a finire». —
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