Storia di Bruce Springsteen in Italia dagli esordi al concerto di Trieste

Enciclopedico e accurato, il libro del triestino Daniele Benvenuti uscito per Arcana, «Growin’ Up – siamo cresciuti insieme! Bruce Springsteen in the Italian Land» (pagg 509, euro 29) ripercorre tutti i concerti di Bruce nel nostro paese dall’85 fino al Circo Massimo nel 2016, con foto, tabelle, statistiche, analisi e tanti contributi.
«Nel 2012 era uscito per un editore locale il volume “All The Way Home” – racconta Benvenuti – e “Growin’Up” ne costituisce un perfezionamento. Ho ancora materiale, quindi ci sarà un secondo volume».
Springsteen è il suo artista preferito?
«Chiedo sempre di non essere definito “fan”. Nell’arco di 35 anni di studio e approfondimento relativo alla popular music, ci sono semplicemente degli artisti che ti ritrovi a seguire un po’ di più ma non parlerei di “preferiti”».
E a proposito di parole, raccomanda di non definire Springsteen “Boss”.
«Non è un libro agiografico e neanche critico, cerco di fare cronaca e ogni tanto punzecchiare alcuni aspetti della fruizione dell’artista. Il termine Boss, come menestrello di Duluth per Dylan sono banalità che non utilizzeresti quando ti rivolgi a persone abituate a parlare di musica, sono cadute di stile che non vorresti trovare su una rivista specializzata».
Ha scelto di non mettersi dentro in prima persona?
«Salvo qualche raro aneddoto personale. Anche se ho assistito al 95% di questi 47 concerti. Quello che c’è dentro è sicuro e certo, non ci sono dicerie, voci di corridoio, leggende metropolitane, gossip».
Come ha reperito il materiale? Ad esempio le scalette di ogni data.
«Su quelle ho lavorato molto e ho la presunzione di dire che sono impeccabili: se peschi in rete ci sono sempre degli errori. Il mio vantaggio è che conservo appunti di qualunque evento a cui assisto. Quindi ho accumulato materiale fin dagli anni Ottanta e ho potuto attingere dai miei archivi».
Il rapporto di Bruce con l’Italia?
«Va oltre il suo albero genealogico, le origini italiane del ramo materno, che sono innegabili, ma non è semplicemente un fatto di sangue. È un rapporto solido, che si sviluppa nell’arco del tempo».
Offre anche uno sguardo sull’organizzazione dei concerti, con interventi di Claudio Trotta di Barley Arts e Loris Tramontin di Azalea.
«Trotta è una figura di riferimento importante, presente a tutti i concerti italiani. Tramontin, in seconda battuta, è quello che in assoluto ha co-organizzato più date».
Springsteen in Friuli Venezia Giulia?
«Ha dimostrato come le piazze minori per questioni geografiche e di collocazione permettono una maggior rilassatezza e un concerto più interessante e personale di quello di San Siro in cui magari i 60 mila portano a uno show più da grandi masse».
Villa Manin 2006?
«Un contesto unico e un pizzico di fortuna (la serata avrebbe potuto essere funestata da un temporale), un alto livello artistico».
Udine 2009?
«L’ultimo concerto italiano con il sassofonista Clarence Clemons prima di morire».
Trieste 2012?
«Al di là della famosa gaffe iniziale con “Mandi Trieste” da segnalare la presenza di Elliott Murphy ospite in due brani (che ha curato anche una delle prefazioni del libro)».
Lo rivedremo qui?
«Ne dubito. Secondo me farà l’ultimo giro di giostra con la E Street Band il prossimo anno negli stadi, e dopo finalmente tornerà a fare quello che il suo istinto, l’età e la credibilità gli suggeriscono: esibizioni più intime, crude, in circuiti più piccoli. Una persona over 70 non deve essere per forza costretta in eterno a fare il maratoneta del palco». —
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