Storia di Auschwitz, il lato infernale e sempre vivo dell’essere umano

Paolo Marcolin
Il 14 giugno 1940 un treno varca il cancello del campo di concentramento Auschwitz. I 732 prigionieri che sono a bordo non possono vedere la scritta beffarda, poi diventata universalmenta nota, con la quale i nazisti li accolgono: "il lavoro rende liberi". Sono ignari che è loro toccato in sorte un macabro primato, quello di inaugurare quel vasto complesso di campi di morte che si trova nella Polonia occupata dai soldati di Hitler nemmeno un anno prima. Milioni di altri deportati seguiranno, e milioni troveranno la morte. Ebrei per la maggior parte, e poi zingari, omosessuali, oppositori politici. Subumani, secondo le teorie razziali naziste, gassati con il Ziykon B, un veleno che si usava per la disinfestazione, e poi cremati nei forni e all'aperto, su graticci costruiti con binari e mattoni.
Sono passati ottant'anni da quel primo treno e su Auschwitz si è ricercato, scritto e discusso talmente tanto da diventare uno degli argomenti più ricchi di bibliografia al mondo. Alla base di questa produzione sterminata, una parte della quale è dedicata a confutare, con gli strumenti più avanzati della tecniche della geologia e dell'archeologia, coloro che negano lo sterminio, sta la necessità di capire 'perché' è potuto accadere che in un paese posto nel cuore dell'Europa culturalmente più raffinata come la Germania, venisse pianificata e condotta meticolosamente un'azione così aberrante da prevedere l'eliminazione fisica di milioni di persone inermi.
È anche attorno a questa domanda che lo scrittore e saggista Frediano Sessi ha costruito la sua ricostruzione globale dell'universo concentrazionario, simbolo per eccellenza della Shoah. Sessi, che allo sterminio nazista ha dedicato molti scritti e anche dei saggi ad uso dei ragazzi, in 'Auschwitz. Storia e memorie' (Marsilio, 601 pagg., 30 euro) ripercorre cinquant'anni di ricerche e collaborazioni con storici di tutto il mondo accorpandole in tre grandi sezioni. La prima inquadra il 'progetto Auschwitz' nel più ampio contesto del 'nuovo ordine europeo' ideato dal Reich; la seconda entra nello specifico della struttura del campo, dalla scelta del sito alla ricostruzione della quotidianità del Lager, gli alloggi, i luoghi di lavoro, i metodi di sterminio, i processi e le sentenze seguiti alla liberazione; la terza parte approfondisce i percorsi della memoria emersi e consolidatisi nel tempo, le testimonianze e il complesso del museo del campo.
Auschwitz non fu opera del caso, della 'banalità del male' come sostenuto da Hannah Arendt, afferma Sessi, ma di un'idea ben precisa in cui il crimine appare come l'atto più elevato di una nuova moralità. Quando un gruppo di esseri umani viene declassato e ritenuto pericoloso per la sicurezza della società, la sua eliminazione non appare più così incomprensibile o scandalosa e chi aderì a questo progetto, tra cui 40 mila medici che parteciparono o favorirono esperimenti su cavie umane, era convinto di aver agito bene. Pertanto Auschwitz, conclude Sessi, è ancora un luogo vivo che interagisce con il presente, con i massacri in Ruanda, in Cambogia, nella ex Jugoslavia. Trasformare lo straniero in nemico, come oggi avviene per i migranti in fuga, è la condizione che giace in fondo agli animi come un'infezione latente. Auschwitz è il lato nascosto, infernale dell'uomo, la parte della sua natura che fa paura perché sta là, acquattata e sempre pronta a saltar fuori.
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