Storia di Árpád Weisz, il genio del calcio che morì ad Auschwitz

TRIESTE Lo sport e le leggi razziali. Un binomio che determinò la fortuna e la caduta del grande allenatore di calcio Árpád Weisz che, ebreo nato nel 1896 a Solt, vicino a Budapest, diede il meglio di sé sul piano professionale negli anni Trenta in Italia, dove vinse uno scudetto con l’Inter e due con il Bologna. Per poi essere deportato ad Auschwitz assieme alla moglie Ilona e ai figli Roberto e Clara, che furono subito gasati. Lui, dopo un anno e mezzo ai lavori forzati, morì nel’44.
Un libro, uscito da poco e intitolato “Árpád Weisz. Il tempo, gli uomini, i luoghi” (Marco Serra Tarantola Editore, pagg. 173, euro 15,00), ripercorre la sua vicenda attraverso la prosa chiara e avvincente di Paolo Balbi, sensibile narratore di storie legate al mondo del pallone, e a un’interessante sequenza di rare e spesso inedite immagini d’epoca.
L’autore ha svolto un lungo e appassionato lavoro di ricerca in Italia, Austria, Ungheria, Francia e Olanda, dove Weisz lavorò e visse con la famiglia, documentazione che rende il racconto molto interessante anche sotto il profilo dell’analisi storica e di costume, riservando al lettore non poche sorprese.

Chi sa per esempio che durante la prima guerra mondiale, nel corso della quale Árpád combattè come fante dell’esercito austroungarico sul fronte isontino, molti soldati ungheresi, catturati sul Carso nel 1915, furono inviati come lui a Trapani, luogo privilegiato perché molto distante dal fronte, internati in un campo per prigionieri e impiegati all’ex pastificio Ica? Ed è solo uno degli aneddoti contenuti nel libro di Balbi.

«Questo volume – ricorda l’autore – nasce quasi per caso. Avevo letto con avidità un libro che parlava di Weisz, scritto da Matteo Marani che, dopo Enzo Biagi, aveva riportato alla ribalta il grande allenatore. Ma era un testo soprattutto tecnico. Gli dedicai una recensione e poi, approfondendo la ricerca, sono riuscito a raccogliere molto materiale inedito e, grazie anche alle insistenze di Stefano Solmi, storico dell’Università di Bologna appassionato di calcio, mi sono lasciato convincere. Ne è uscito il ritratto di una persona fiduciosa e ottimista, atteggiamento che in quel momento in Europa per un ebreo, era pericoloso».

Il libro narra di Árpád bambino in una colta famiglia della borghesia ebrea, poi calciatore e, in seguito a un infortunio, allenatore; marito e padre, fino all’arrivo in Italia delle leggi razziali, che lo inducono a trasferirsi con la famiglia in Francia, dove trova ben due ingaggi, e poi in Olanda, paese neutrale in cui si sente al sicuro. Qui però, al primo rastrellamento, viene catturato dai nazisti mentre stava allenando con grandi risultati la piccola squadra di Dordrecht. Se fosse stato meno fiducioso e più cauto, avrebbe avuto tutte le possibilità di emigrare in posti sicuri come il Sudamerica, dov’era noto e si era fatto apprezzare come a Parigi.

Il volume traccia il ritratto di un professionista capace di portare il calcio a essere spettacolo e filosofia: un genio e una figura assolutamente fuori dal comune – ricorda Balbi – di una cultura, di un’eleganza e di una sensibilità che nel calcio sono assolutamente rare. La sua caratteristica era quella del movimento dei giocatori sul campo senza la palla. All’epoca il calcio in Italia e in quasi tutta Europa era piuttosto statico, molto semplice, primitivo e istintivo. E Weisz ha introdotto nel nostro Paese gli schemi di gioco, con i movimenti coordinati dei giocatori sul campo e, fatto inedito, la differenziazione degli allenamenti sull’atleta, personalizzati a seconda del periodo dell’anno e delle condizioni fisiche di ciascuno. Veniva poi curato tantissimo il rapporto con e tra le persone. Inoltre Weisz, che era un atleta e un allenatore di classe della scuola danubiana, dava l’esempio, «non come gli altri allenatori che agivano a bordo campo in doppiopetto e bombetta e con il megafono», sottolineta l’autore. E ciò ha rappresentato una rivoluzione in Italia.
Personaggio a lungo dimenticato, oggi Weisz è celebrato da tutto il mondo del calcio con targhe collocate in stadi importanti, esposizioni, dibattiti e un trofeo annuale. A Bari gli è stata intitolata una via vicino allo stadio San Nicola, allo stadio Dall’Ara di Bologna una curva, mentre a Lisbona è sorto, per iniziativa di Solmi, il Club Internazionale Rossoblu Árpád Weisz, cui aderiscono soci da tutto il mondo. Il libro di Balbi contribuisce a dare spessore alla memoria di un uomo, uno sportivo, che pagò a caro prezzo gli orrori e le storture della Storia.–
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