Stalin disse a Churchill «Occupate la Slovenia ci ritroviamo a Vienna»

di Fabio Amodeo
Yalta, Crimea, 4 febbraio 1945. Si ritrovano i capi delle potenze che stanno combattendo Hitler: Winston Churchill, Franklin Delano Roosevelt e Iosif Stalin. Assieme a robuste squadre di ministri e comandanti militari devono affrontare un'imponente agenda legata all'ormai prossima vittoria, a cominciare dal disegno delle aree di occupazione alleata della Germania. Alle 3 del pomeriggio, Stalin, padrone di casa, si reca nel quartier generale inglese per dare il benvenuto. Per un'ora si chiude a chiacchierare con Churchill. Esaminano la situazione sui vari fronti, scambiano opinioni sul comportamento dei nazisti.
A un certo punto Stalin avanza una proposta. Perché non avanzate velocemente dall'Italia del Nord, superate la soglia di Lubiana, occupate la Slovenia e ci affiancate nella liberazione di Vienna? Così, assieme, potremmo aggirare le Alpi ed evitare che si formino ridotti di resistenza nazista. Per Churchill è un tasto dolente. A lungo, nel corso dell'estate 1944, ha caldeggiato quest'ipotesi. Alla fine, dopo interminabili discussioni, la scelta alleata è stata quella di gettare tutte le forze disponibili in Francia, per arrivare prima possibile alla fine della guerra. A Stalin il premier britannico risponde educatamente: non c'è tempo, lo spostamento di truppe per l'operazione sarebbe lungo, l'Armata Rossa a quel punto sarà già a Berlino.
Il giorno dopo si ritrovano le delegazioni militari, con lo scopo di coordinare le prossime offensive contro la Germania e delimitare le aree di intervento dei bombardieri. A un certo punto il capo di stato maggiore sovietico, il generale Aleksej Antonov, torna sulla questione Slovenia. Dovreste attaccare il Ljubljana Gap, la soglia di Lubiana (lo stretto corridoio tra Postumia e Planina che rappresenta il passaggio obbligato Est-Ovest) e aiutarci a salire a Vienna, dice. Stavolta la risposta è che gli alleati non hanno forze disponibili, e un'operazione del genere porterebbe all'indebolimento di qualche altro fronte.
L'argomento non compare nei documenti ufficiali, nelle minute delle riunioni, né tantomeno nel testo finale dell'accordo di Jalta, per cui è sfuggito completamente alle ricostruzioni storiche. Perché lo sappiamo adesso? Perché recentemente è uscito un libro straordinario. Si intitola “War Diaries 1939-1945”. Sono i diari di guerra di Alan Brooke, che per tutto il conflitto fu il capo di stato maggiore dell'esercito inglese. Il suo nome è meno popolare di quello dei generali sul campo, Alexander, Montgomery, Eisenhower, Patton. Però il capo di stato maggiore era quello che lavorava più a contatto con il governo, pianificava e decideva quali risorse andavano a ciascun fronte di operazioni. Per tutta la guerra, Brooke visse in simbiosi con Churchill. E, giorno dopo giorno, riportava gli eventi in un diario, scritto per la seconda moglie, che di nome curiosamente faceva Benita, e che adorava. Dopo la morte del generale, il materiale è stato riordinato, verificato (e purgato delle parti più brusche che potevano generare noie legali) da due storici, Alex Danchev e Daniel Todman.
Alan Francis Brooke nato nel 1883 a Bagnères-de-Bigorre, sui Pirenei francesi, figlio di un esponente della piccola nobiltà nordirlandese, aveva studiato a Pau fino a 16 anni; poi, essendo l'ultimo di sette figli, come unica alternativa gli era rimasta la carriera militare. Aveva combattuto nella Grande guerra come ufficiale d'artiglieria. Nel dicembre 1941 Churchill lo aveva chiamato come capo di stato maggiore, carica che tenne fino al 1946, quando si ritirò. Nel 1944 fu nominato maresciallo. Morì nel 1963. Di lui Churchill diceva: «Quando mi arrabbio, batto il pugno sul tavolo e lo guardo a muso duro. Lui batte il pugno più forte e mi guarda a muso duro. È l'unico a farlo, maledetto nordirlandese».
Brooke usa con parsimonia le parole e va diritto al punto. Offre squarci su episodi noti da un punto di vista assolutamente inedito. Essendo un diario, poi, non usa perifrasi nei giudizi. Eisenhower? Bravo mediatore, eccellente oratore, talvolta pericolosamente incapace di vedere con chiarezza la situazione strategica. Alexander? Un debole, sempre influenzato dall'ultimo con cui ha parlato, che generalmente è il suo consigliere politico Harold Macmillan (futuro premier inglese). Stalin? Eccellente nel cogliere velocemente il punto delle questioni.
Talvolta Booke usa parole brusche anche per Winston Churchill, esausto per le inutili riunioni notturne alle quali era costretto. Ma poi, in una nota rivelatrice, lo scusa. Per anni, scrive, il primo ministro ha gettato nella mischia quantità incalcolabili di energia personale, per sostenere i collaboratori, il governo, l'intero popolo inglese, fingendo ottimismo, facendo scelte scomode, con il solo sostegno delle proverbiali quantità di cognac. Alla fine della guerra era un uomo consumato dal titanico sforzo, al punto di perdere lucidità.
Oggi della questione Venezia Giulia nel periodo 1944-’45 non interessa molto a nessuno, per cui l'episodio da cui siamo partiti è passato inosservato. Eppure non è privo di implicazioni interessanti. La più evidente: i protagonisti, tutti, sapevano che l'idea di truppe angloamericane in Slovenia avrebbe fatto sbroccare Tito, perché rompeva tutti i suoi piani. Eppure la proposta viene da parte russa, il che significa che, febbraio 1945, Stalin già non si fidava più del capo jugoslavo ed era pronto con un certo sadismo a fargli il peggiore degli sgarbi possibili. Il fatto che la proposta sia stata ribadita da uno stratega come Antonov significa che la posizione era penetrata in profondità nel vertice sovietico.
Sapendolo, forse gli alleati avrebbero potuto esercitare qualche leva diplomatica in più, nei mesi successivi, per affrontare la questione Venezia Giulia. Invece finì nelle mani di Alexander, e abbiamo già visto quanto male lo considerasse Brooke. Così la questione si incancrenì.
Per dire la verità, Churchill ne scrisse, nel dodicesimo volume del suo “La seconda guerra mondiale”, esattamente nei termini riportati da Brooke. La fonte, come dire, c'era. Ma sono poche righe in un mare di 5400 pagine. C'è da chiedersi se qualcuno le abbia mai lette tutte.
Per Churchill l'intera questione rappresentava una sconfitta personale. Nel maggio del 1944, quando gli alleati avevano rotto la linea Gustav e stavano risalendo l'Italia, si era innamorato dell'idea di un terzo fronte centroeuropeo con obiettivo Vienna. Aveva fatto preparare le pianificazioni per uno sbarco in Istria, e, stanco delle mediazioni su tutto con gli americani, aveva sognato una spedizione solo britannica. Schönbrunn e la Hofburg liberate da inglesi, canadesi, neozelandesi, e nessun altro. Tra quelli che lo avevano smontato c'era Brooke. Calendario alla mano, l'arrivo a ridosso delle Alpi cascava in gennaio. Un suicidio.
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