Soyinka, un Nobel per un ponte culturale fra Africa ed Europa Lo scrittore nigeriano, già a “Dedica” cinque anni fa verrà premiato oggi con “La Storia in un romanzo”
inviato a PORDENONE. Non fa sconti a nessuno Wole Soyinka. Non a se stesso, che scrive i suoi libri in inglese, la lingua dei colonizzatori. Non all’Europa, che dopo aver sfruttato a sangue il...

inviato a PORDENONE. Non fa sconti a nessuno Wole Soyinka. Non a se stesso, che scrive i suoi libri in inglese, la lingua dei colonizzatori. Non all’Europa, che dopo aver sfruttato a sangue il Continente nero adesso vorrebbe abbandonare alla morte per annegamento i suoi figli più poveri che scappano dalle dittature, dalla guerra. E nemmeno all’Africa stessa, che ha smesso di credere in un futuro diverso. E si è arresa ai prepotenti, ai fanatici, a chi pensa soltanto ad arricchirsi.
Però, al tempo stesso, lo scrittore de “ L’uomo è morto”, “Gli interpreti”, che nel 1986 ha vinto il Nobel per la letteratura, non smette di battersi perché le cose cambino. Per questo sta organizzando il Lagos Black Heritage Festival, una sorta di ponte culturale tra la sua Nigeria e il Mediterraneo. E vorrebbe aprirlo con un viaggio simbolico in barca partendo da Palermo, toccando i principali luoghi dell’emigrazione, approdando proprio a Lagos, la città più grande dell’Africa con i suoi oltre 16 milioni di abitanti. Capitale commerciale ed economica della Nigeria.
Lo ha raccontato ieri a Pordenonelegge, nella sede di Crédit Agricole FriulAdria, in un incontro con i giornalisti. E oggi lo scrittore, che era già stato ospite in città nel 2012 del festival Dedica, verrà premiato alle 18 con “La Storia in un romanzo”, il riconoscimento arrivato alla decima edizione e organizzato insieme al Premio giornalistico Luchetta
«L’inglese l’ho sempre usato, per scrivere i miei libri, come un’arma puntata contro i colonizzatori. Ma anche come un omaggio a una grande cultura che ha espresso scrittori del calibro di William Shakespeare», ha spiegato. Del resto, in Nigeria si parlano 300 lingue. E nonostante tutti i problemi che affliggono il Paese, non si può negare che lì la società multiculturale abbia trovato terreno fertile. «Credo che l’Europa non possa lavarsi le mani sul problema dei migranti. Per due motivi sostanziali: in primo luogo perché, nel passato, ha vissuto sulla propria pelle situazioni analoghe. E poi perché, per troppo tempo, ha considerato l'Africa un serbatoio inesauribile di materie prime da arraffare a piacimento».
Certo, c’è stato un tempo in cui l'Africa sognava di rialzare la testa con le proprie forze. «Poi i nazionalisti hanno preso il potere. Pensando soltanto ad arricchire se stessi. E così la gente ha cominciato a scappare dalla povertà, dalla violenza. E molti adesso dormono in fondo al mare». Ma non c’è alternativa all’accoglienza, anche se lui dice chiaro e forte che «l’Africa rimane per tutti quelli che se ne vanno un punto di riferimento. La propria madre». Proprio per questo sarebbe bello se l’Europa rendesse omaggio alla cultura nera con il Nobel per la letteratura. Tra i candidati, da tempo, c’è il nome del kenyano Ngugi Wa Thiong’o, arrivato ormai alla soglia degli ottant’anni.
A Jennifer Niven, ogni volta, qualcuno chiede perché scrive sempre storie di ragazzi con problemi. E lei, nata nell’Indiana, che vive a Los Angeles e ha pubblicato da poco il suo nuovo bestseller per “young adult” intitolato “L’universo nei tuoi occhi”, sfodera un grande sorriso e risponde: «Semplice, perché il mondo dei ragazzi non è così glamour come ci ostiniamo a pensare. Un giorno, alla presentazione di uno dei miei romanzi, si è alzato un adolescente e mi ha pregata di non cambiare. Di continuare a raccontare vicende oneste e coraggiose. Come potrei tradirlo?».
Tradotta in oltre trenta Paesi, Jennifer Niven sta lavorando alla sceneggiatura del film tratto dal suo romanzo di maggiore successo: “Raccontami di un giorno perfetto” (pubblicato in Italia da DeA). «Continuo a modificare il copione, ma sono sicura che a gennaio inizieranno le riprese. Nei panni di Violet Markey ci sarà Elle Fanning, mentre per il personaggio di Theodore Finch non è ancora iniziato il casting». La storia di questi due ragazzi, che vivono all’ombra dall’ossessione di suicidarsi, nasce da una dolorosa esperienza personale. «Quando avevo vent’anni, il mio ragazzo si è tolto la vita. Per un lungo periodo non sono riuscita a parlarne. Solo scrivendo, forse, ho potuto esorcizzare quel grandissimo dolore».
Non deve stupire che Jennifer Niven riesca a dare voce agli adolescenti: «Mi sento giovane dentro, anche se ho 49 anni, perché non ho dimenticato i sentimenti che si provano quando l’età adulta è ancora lontana. Quella voglia di sentirsi considerati, amati, il desiderio di appartenenza». E se al centro delle sue storie c’è il mondo della scuola, è perché dagli anni delle superiori in realtà non ci allontaniamo mai: «Anche crescendo, portiamo dentro di noi paure e sogni legati a quel periodo». Capita spesso che le sue storie prendano spunto da vicende vere: «Nel mio nuovo romanzo, Jack Masselin soffre di una strana malattia che si chiama prosopagnosia. Impedisce di riconoscere il volto delle persone. Una sindrome non poi così rara, visto che ne ho sentito parlare per la prima volta da un mio cugino. Lui racconta che pensava di essere una persona orribile. Evitava di parlarne, si vergognava come se stesse facendo qualcosa di sbagliato».
Pino Roveredo non ha mai nascosto la sua storia di ex carcerato, di ex alcolizzato. Di chi ha conosciuto da vicino l’orrore del manicomio. E adesso che è uno scrittore affermato, non smette di pensare a chi si trova a sbattere contro il muro invalicabile della detenzione. Così, tra un mese, all’interno del carcere di Trieste e di quello di massima sicurezza di Tolmezzo, darà vita a due giornali. In redazione ci saranno soltanto detenuti.
«Quello di Trieste avrà un nome curioso sulla testata - ha rivelato presentando il suo nuovo libro “Ferro batte ferro” -. Si chiamerà “Via Nizza 26”, l’indirizzo che usa chi vuole scrivere ai detenuti e preferisce evitare via Coroneo. Perché si vergogna di spedire una lettera a un detenuto. Il giornale di Tolmezzo, invece, sarà L’Aquilone. E visto che lì ci sono carcerati che non usciranno mai, come se avessero una condanna a morte, mi sembra che il simbolo del volo libero, anche se governato da chi tiene tra le mani il filo, sia perfetto».
Tra i grandi personaggi che in questi giorni affollano il festival non poteva mancare Corto Maltese. Il marinaio giramondo creato da Hugo Pratt, fumettaro veneziano morto nel 1995 dopo una vita piena di avventure e storie disegnate, si è materializzato grazie a due autori spagnoli. Ovvero, il disegnatore Rubén Pellejero e lo sceneggiatore Juan Diaz Canales, che nel 2015 hanno voluto riportare in vita il personaggio con “Sotto il sole di mezzanotte”. E che in questi giorni fanno uscire per Rizzoli Lizard una graphic novel dal titolo “Equatoria”. Dove Corto di troverà alle prese con una lettera falsa, uno specchio magico, un re che nessuno ha mai visto. E, se non bastasse, anche il giovane Winston Churcill e il poeta Konstantinos Kavafis.
Ma a dire il vero, il centro di gravità della trama sono le donne: «Ci siamo chiesti: se sono in grado di desiderare e respingere, di sbagliare e agire bene, di essere sublimi e infami, perché diamine non le vediamo più spesso nel ruolo di protagoniste delle storie?», hanno spiegato i due autori.
@alemezlo.
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