Sono tutte “Maestre d’amore” le donne di William Shakespeare
Il teatro è rappresentazione della vita e in quanto tale suggerisce risposte a quesiti eterni come può essere l’essenza dell’amore. Quando a scriverne è uno dei più acuti psicologi della letteratura universale, ovvero William Shakespeare, qualsiasi domanda potrà trovare molte risposte, quasi mai confortanti, ma sempre illuminanti. Lo sa benissimo Nadia Fusini, traduttrice ed esperta di letteratura inglese che in “Maestre d’amore” (Einaudi, pagg. 208, euro 19) esplora i percorsi del mal d’amore tra le vicende e soprattutto le parole di “Giulietta, Ofelia, Desdemona e le altre”. Sono infatti le “donne sapienti” a portare in scena le ragioni del cuore, mentre gli uomini annaspano tra abbagli, inganni, illusioni, rovinose sconfitte. Shakespeare esalta il primato della donna senza essere un femminista ante litteram: osserva, elabora e comprende quanto la donna sia portatrice dello spirito di tempi nuovi che lasciano alle spalle le convenzioni dell’amor cortese e provano a far trionfare il buonsenso, soprattutto sotto l’ala protettrice della commedia, alla quale si può perdonare anche la verità. Sono donne moderne, a volte bisbetiche e anticonformiste, in vesti maschili e armate soprattutto della forza della parola.
Quanto la parola sveli e nasconda è l’oggetto dell’appassionata, incuriosita e anche divertita analisi dell’autrice che, andando alla ricerca delle diverse intonazioni del “ragionar d’amore”, accompagna in intriganti digressioni sulla cultura elisabettiana, con particolare attenzione all’utilizzo e al senso delle parole, alle loro assonanze e riferimenti che potrebbero sfuggire al lettore moderno. L’analisi si carica di informazioni, considerazioni, anche dubbi rivolti al lettore in un intreccio denso che la vivacità di uno stile quasi colloquiale rende piacevolmente fruibile. Ne godrà anche chi ricordi solo vagamente le trame delle opere trattate, perché l’obiettivo va al di là dei singoli personaggi, in una narrazione che scorre tra le pieghe delle battute per mettere in luce le multiformi manifestazioni dell’amore nel realissimo teatro shakespeariano. E nonostante i drammi facciano sempre sensazione, sembra esserci più amore nella commedia che nella tragedia (anche a giudicare dal numero di capitoli dedicati). Le eroine tragiche ribadiscono la propria libertà individuale, dimostrando di conoscere bene i meccanismi della società dell’epoca e le possibili vie d’uscita (come Giulietta, se non fosse per i tempi fatalmente sbagliati), fanno intravedere la forza di legami mentali come Desdemona, vogliono trascendere anche i confini della vita, come nel teatro di seduzione messo in scena da Cleopatra. Ma sono le commedie a descrivere una concezione dell’amore rivoluzionaria, anche nel modo di pensare il maschile e il femminile. Ed ecco l’amore come illusione di realissime visioni nel Sogno, quello disobbediente delle nuove generazioni che non intendono perseverare in stereotipi patriarcali in Tutto è bene, l’amore educatore nell’ebbrezza verbale della Bisbetica domata, quello che smaschera l’umana fragilità in Molto rumore per nulla. Si incontra poi l’amore che rimescola i confini di genere e rango in Come vi piace, che trascina nel ridicolo e distoglie dalla realtà nella Dodicesima notte, per arrivare al limite della tragedia nella consapevolezza di quanto l’inibizione degli eccessi non generi equilibrio in Misura per misura, fino all’esaltazione della vita vissuta (e non solo cantata) in Pene d’amor perdute. Una lunga serie di “catastrofi nuziali”, nelle quali Shakespeare archivia la retorica cortese per un amore che vive di allusioni esplicite, di desideri umanamente terreni in quell’intreccio sorprendente di richiami classici, teatro popolare o di corte, vita di strada che ancora oggi continua ad insegnare. —
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