Sonnoli, da tubi e cacciavite al lusso di Bulgari: una matita che ha reso il sogno realtà

Ex studente dell’Istituto Volta, il graphic designer triestino è tra i più noti al mondo «Sono fuggito il più lontano possibile dalla città, ma oggi ci torno con i miei figli»

TRIESTE Trieste è un segno grafico. Trieste è una mappa da percorrere e decifrare, anche cercando i segni del passato. Così è almeno per Leonardo Sonnoli, nato a Trieste nel 1962, oggi uno dei più noti graphic designer in Italia, e nel mondo. «Sono culturalmente, profondamente, triestino, anche se quello che mi lega alla città è un rapporto di amore e odio», dice. «Quando ho terminato gli studi – ho studiato all’Isia di Urbino, dove insegno adesso – e pur avendo cominciato a lavorare con il bravissimo Pierpaolo Vetta, ho accettato l’offerta di lavoro che mi portasse il più lontano possibile dal golfo». Ora Sonnoli vive a Rimini; un altro mare, ma sempre un mare davanti agli occhi. «Prima di essere accettato all’Isia, a Trieste avevo studiato all’Istituto tecnico industriale Alessandro Volta, lo stesso frequentato da Dudovich: anche se io, a dir la verità, imparavo a saldare tubi».

Dal cacciavite a disegnare l’immagine di una grande fiera d’arte contemporanea come Artissima a Torino, o “impaginare” l’ultimo libro di Bulgari, c’è un bel salto.

Vengo da una famiglia benestante ma impoverita. Dopo la morte, in pochi anni, di mio nonno e mio padre, per un periodo siamo andati avanti – io, mio fratello Pierpaolo, e mia madre – con la sola pensione sociale di mia nonna. Stavamo in un appartamento dove pioveva dentro, nel vero senso della parola. Senza riscaldamento. E con lo sfratto. Quante volte ho invidiato le persone al caldo, con un bicchiere in mano, dietro le grandi vetrate che vedevo passando davanti al Savoia Excelsior.... Così, quando sono tornato a Trieste con i miei figli, sono stato proprio al Savoia. Una volta, anche al Duchi d’Aosta, dove ho preso una stanza con vista su piazza Unità. Diciamo che mi sono tolto la soddisfazione.

Ma com’è passato dai tubi alle invenzioni grafiche?

Sono cresciuto con l’arte. Mia madre dipingeva. A casa, nel corridoio dove io e mio fratello giocavamo a pallone, c’era una natura morta del triestino Bruno Croatto, ce l’ho ancora davanti agli occhi. Mia nonna mi ha sempre incoraggiato a studiare; mio fratello, più grande, appena ha cominciato a guadagnare mi ha aiutato… Mi hanno spinto ad andare avanti. Sa i momenti di felicità che ho passato da Smolars, tra i quaderni e le matite, cartoleria dei sogni? Ma la mia vera scuola è stata la città. Andavo a vedere mostre in gallerie d’arte che oggi non ci sono più, e senza magari capirci niente: la galleria Planetario in via Diaz, che esibiva un artista che mi colpì profondamente, Emilio Scanavino. La galleria Torbandena, la Tommaseo. Erano gli anni Settanta: pur essendo Trieste, allora come oggi, provincia dell’impero, c’era vita, curiosità, fermento. Andavo al museo Revoltella, ancora oggi uno dei miei luoghi del cuore: e rivedere le opere di Timmel, di Sofianopulo, e Mirella Sbisà, ogni volta mi riconcilia con la città. Testimonianza di una capacità triestina di fare le cose, interpretare il mondo.

Come Pierpaolo Vetta, prima suo mentore, poi socio.

Gli sarò per sempre grato perché è lui che mi ha fatto conoscere la storia della grafica in città, e mi ha incoraggiato a studiare. Così ho scoperto, ad esempio, che Trieste era stata sfiorata dalle avanguardie; qui si sono tenute le prime serate futuriste. E quando si è trattato di fare la tesi all’Isia, ho pensato alla grafica triestina anni Venti e Trenta, post Dudovich per capirci. Mi interessava Marcello Claris, che aveva disegnato le pubblicità della gioielleria Cavallar, tra cui una famosa: “La sveglia che ti sveglia, la sveglia Cavallar”. Però alla fine ho scelto lui, Urbano Corva. Cercai sull’elenco del telefono il suo nome; conobbi la vedova, Augusta, andai a trovarla, a vedere i disegni e l’archivio. Gli sono in qualche modo debitore di un segno, un gusto.

Un’educazione alla grafica, all’illustrazione, all’arte, che a Trieste passa anche per i robivecchi…

Ho delle copertine straordinarie di libri, anche disegnati da Urbano Corva, trovate proprio dai rigattieri. Andavo spesso nella bottega di via Malcanton, ma le giravo un po’ tutte; compravo cose che ho capito bene solo dopo. In questo ringrazio Trieste, città borghese , città anziana, che svuotava armadi e soffitte. Era una continua scoperta.

Molte di quelle illustrazioni, poster, copertine, adesso sono nella sua grande libreria; sono materia per lezioni, conferenze, nuovi lavori. E Trieste, dimenticata?

Ci torno, ogni tanto, con i miei figli. Li porto nei luoghi della mia infanzia. A mangiare le paste crema a Basovizza. Al mare a Grignano Uno, dove passavo tutte le mie feste di compleanno. Ma adesso è parecchio che non torno.

La prossima volta può scendere a un nuovo albergo ricavato in un palazzo stupendo, l’ex Ras di Berlam, di inizio Novecento. Il caffè, al primo piano, è in stanze che sono uno spettacolo di stucchi e decori (Sonnoli ride, ma è un riso amaro)...

Le conosco bene quelle stanze. Ci andavamo io e mio fratello, a chiedere comprensione per lo sfratto: la Ras era proprietaria dell’immobile dove abitavamo; sì, la casa dove pioveva dentro.

Trieste mappa di storie, destini e segreti. —

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