“Sole alto” su tre amori spezzati dall’intolleranza

Il film del giovane croato Dalibor Matanic, già premiato a Cannes, apre questa sera la rassegna alla Tripcovich
Il regista Dalibor Matanic e l’attrice Tihana Lazovic
Il regista Dalibor Matanic e l’attrice Tihana Lazovic

TRIESTE Il Trieste Film Festival inaugura la sua 27° edizione questa sera (venerdì 22 gennaio) alle 20 alla sala Tripcovich, con un film croato che ha già raccolto decine di premi prestigiosi in tutto il mondo, lo splendido “Sole alto” di Dalibor Matanic.

Le proiezioni del festival inizieranno in realtà già nel pomeriggio, ma l’apertura ufficiale è affidata al piccolo capolavoro di Matanic, un film che racconta tre diverse storie d’amore tra una ragazza serba e un ragazzo croato in altrettante decadi: il sentimento spezzato dei giovani Jelena e Ivan, che sognano un futuro diverso, è ambientato nel 1991 a un passo dalla guerra, quello di Nataša, che torna nella sua casa devastata dal conflitto, e Ante, ingaggiato per restaurarla, nel 2001, e l’ultima, nella quale Luka lascia Marija e il figlio che porta in grembo perché i genitori non approvano il loro amore inter-etnico, nel 2011.

Trieste Film Festival: la sigla

Le coppie hanno vicende differenti e slegate, ma sono interpretate dagli stessi due attori, i bravissimi Tihana Lazovic e Goran Markovic (che sarà presente questa sera alla proiezione): come a dire, spiega il regista, che in un certo senso la guerra non è finita. E che il tempo passa ma, se l’intolleranza non viene sradicata dal cuore delle persone, c’è il pericolo che si vada verso un nuovo conflitto. E, anche se il film si chiude con una nota di speranza sulla vittoria dell’amore nonostante tutto, di intolleranza e odio inter-etnico, dice Matanic, nei Balcani e in Europa se ne respira ancora troppo.

“Sole alto”, prodotto in sinergia fra Croazia, Slovenia e Serbia, uscirà poi nei cinema italiani a marzo distribuito dalla friulana Tucker Film, ma ha già conquistato lo scorso Festival di Cannes, aggiudicandosi il Premio della Giuria nella sezione “Un Certain Regard” ed è stato già applaudito anche nei festival di Karlovy Vary, Melbourne, fino a Busan in Sud Corea. Matanic, uno dei registi più attivi del cinema croato contemporaneo, risponde al telefono in una pausa dal set mentre sta girando la serie tv “Papers”, «una sorta di “House of Cards” in versione croata sulla corruzione di politica e giornalismo».

Una scena del film “Sole alto” che apre oggi il Trieste Film Festival
Una scena del film “Sole alto” che apre oggi il Trieste Film Festival

Matanic, al tempo della guerra nei Balcani lei aveva solo 16 anni. C’è qualcosa di autobiografico nel film? «L’idea mi è venuta ripensando a mia nonna, che quando parlavamo di fidanzate mi diceva sempre: “Basta che non sia una di loro…” riferendosi alle ragazze serbe. Era strano sentir dire una cosa simile a una donna come lei, gentile e piena d’amore. Ho molte esperienze personali di come l’intolleranza sociale, politica e religiosa sia ancora presente anche nella mia generazione: ho cercato di capire perché la gente resti tanto infettata dall’odio».

Perché ha scelto di raccontare tre decadi differenti? «La guerra, in un certo senso, puoi vederla sempre, non solo negli anni ’90: la mente umana la costruisce continuamente. Volevo fare un film universale, non solo legato alle vicende dei Balcani, raccontando quanto dolore provochi l’intolleranza in tutti i suoi aspetti, che sia politica o rivolta all’orientamento sessuale o al colore della pelle».

L'Europa centro-orientale al Trieste Film Festival VIDEO
Il manifesto ufficiale di Trieste Film Festival 2016

Quindi nei Balcani sente ancora un clima di tensione? «La scrittura della sceneggiatura è durata cinque anni e a un certo punto mi sono accorto che tutto stava succedendo di nuovo: con le nuove elezioni non solo nei Balcani, ma in tutta Europa stanno riemergendo forze neonaziste».

Perché secondo lei? «Perché è più facile odiare che amare. La gente, soprattutto le nuove generazioni, non sanno quanta sofferenza questo ha causato nella Storia. Ecco perché nel film vediamo che i giovani dovrebbero essere più progressisti dei loro nonni, ma spesso non lo sono».

Secondo lei è possibile che scoppi una nuova guerra nel prossimo futuro? «Sì, e non solo io: Angela Merkel ha detto che si aspetta un nuovo conflitto nei Balcani entro i prossimi 15-20 anni. Se i politici non fanno crescere la società in termini di tolleranza, perdono e compassione tutto torna in circolo, ci sarà un’altra guerra e non solo nei Balcani».

Il tempo può aiutare le persone a dimenticare o perdonare? «Nel film, lo uso come tempo del dolore: nella prima decade è fisico e pulsante, nella seconda è ancora una ferita e nella terza è insito tanto profondamente nella gente che quasi non se ne accorge».

Perché ha scelto gli stessi attori per intepretare tre coppie diverse? «Per agire sul subconscio: volevo che il pubblico, vedendo le stesse facce in decadi e location differenti, percepisse il pericolo del ripetersi della Storia. “Sole alto” farà parte di una “trilogia del Sole”: qui si parla di amore contro l’odio, nel prossimo, The Dawn, di valori spirituali contro valori materiali».

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