«Sogno l’Oscar con Trieste nel cuore»

Alessandra Querzola ha conquistato una nomination per arredi e scenografie di “Blade Runner 2049”

Trieste ha la sua candidata all’Oscar: è l’arredatrice di scena Alessandra Querzola, che ha conquistato una nomination tecnica per il suo lavoro sugli arredi e le scenografie di “Blade Runner 2049”. Dall’84 vive a Roma ma, dice, «torno sempre a Trieste. In realtà è come se non fossi mai andata via». Alessandra è candidata anche ai Bafta e la sua filmografia è impressionante: ha lavorato, solo per citare qualche titolo, a “Il paziente inglese” di Minghella, “Gangs of New York” di Scorsese, allo 007 “Skyfall” di Mendes, “Avengers: Age of Ultron”. Ma tutta la creatività e la sapienza artigianale che mette nel suo lavoro partono dal liceo artistico Nordio di Trieste e il legame con la città è ancora fortissimo. «Sono due anni che non riesco ad andare al bivio di Barcola o all’Ausonia, ma di solito non salto un’estate. Vado al “bagno” o in osmiza con mia mamma: ha 85 anni, è su Facebook e le è stato proibito di rilasciare interviste!», sorride.

Come si arriva da Trieste al grande cinema di Hollywood?

«È successo per caso, dall’unione di molte cose. Ho avuto meravigliosi insegnanti al Nordio e campo ancora su quello: ci sono fondamenti che non dimentichi più. Poi ho studiato Belle Arti a Venezia dove sono sempre passati molti film, magari anche solo per una settimana di riprese, e negli anni ’80 c’era un sacco di teatro. Ho fatto di tutto sui set, l’aiuto sarta, ho creato all’uncinetto barbe e baffi in un laboratorio di parrucche. Dopo aver lavorato a “La chiave” di Tinto Brass sono arrivata a Roma e lì ho fatto anche tv, per esempio “Indietro tutta”».

Di cosa si occupa un arredatore sul set?

«È un lavoro di ricerca e di intesa sulla visione del film col production designer. Il reparto di arredamento deve andare in giro a cercare gli oggetti necessari alla scenografia, dai tappeti alla moquette, dalla carta da parati ai quadri, dalle penne alle lettere al vaso di fiori. È un lavoro empatico, intuitivo, perché le cose sono da qualche parte: tutto sta nel trovarle».

C’è anche una dimensione artigianale…

«Devi avere un sacco di conoscenze tecniche, dai tessuti a come si accorcia un letto in cinque minuti. Sul set di Budapest di “Blade Runner” ho potuto portare il mio team italiano».

Si ricorda un set particolarmente impegnativo?

«Metto in tutti i lavori lo stesso impegno, dai piccoli progetti, come il corto “1943-1997” di Ettore Scola per la Giornata della Memoria, alle grandi produzioni come “Gangs of New York” dove ho imparato tecnicamente cosa vuol dire realizzare un coltello, un’arma in vetroresina, in gomma, in alluminio».

Cos’ha realizzato per “Avengers: Age of Ultron”?

«Tutte le sequenze girate in Val d’Aosta dell’arrivo dell’astronave e del terremoto: l’abbiamo ricostruito con macerie vere, scelte e selezionate, che stavano in 16 container».

Come si lavora su un set mitico come quello di “Blade Runner” che ha forgiato un intero immaginario?

«È un processo collettivo difficile da descrivere. Lo scenografo Dennis Gassner ha stabilito i segni di un linguaggio che, aggiunti agli input del direttore della fotografia Roger Deakins, hanno fondato tutto il nostro lavoro. Non si tratta di riferimenti precisi ma di suggerimenti empatici».

Qual è stato l’ambiente più complesso di “Blade Runner”?

«I più astratti, come la casa di K/Ryan Gosling. Abbiamo costruito i mobili in ferro: in cucina tutto funzionava veramente. Per la casa di Sapper Morton/Dave Bautista, invece, ho cercato mobiletti e sedie di ferro che avessero un’impronta sovietica. Mentre per i capannoni con i serbatoi mi ha aiutato una ditta di Verona che fa la coltivazione delle alghe».

Com’è nato lo splendido bar dell’hotel dove si è rifugiato Deckard/Harrison Ford?

«Il bancone l’abbiamo disegnato e costruito a Budapest con Rodolfo Calascibetta, un grande ebanista. Ci volevano poi gli sgabelli da casinò: li abbiamo comprati su eBay a 15 dollari più 70 di spedizione l’uno. Lo stabile dell’hotel è esistente: era la vecchia sede della televisione ungherese dismessa qualche tempo fa, ora di proprietà privata. Dentro ci ho messo 50mila dollari di moquette».

Quanto di quello che vediamo e vero e quanto ricostruito in digitale?

«Ci sono delle estensioni dei set in computer grafica, ma quasi tutto è stato costruito davvero. Comprese le grandi statue femminili nel deserto e la discarica dove arriva K con lo spinner».

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