Settant’anni fa Trieste inaugurava in treno i film sulla Guerra Fredda
TRIESTE. Settant’anni fa, nell’agosto del 1949, sul “The Mail” apparve questo curioso titolo: “’Trieste’ top British moneymaker in U.S.”. Ci si riferiva agli ottimi incassi negli Stati Uniti, e in particolare a New York, del film britannico “Sleeping Car to Trieste” ( “Vagone letto per Trieste”), thriller chiave del genere spionistico diretto da John Paddy Carstairs, prolifico regista che poi lanciò il personaggio di Simon Templar. Nella vicenda, una coppia di affascinanti spie (Albert Lieven e Jean Kent) ruba da un’ambasciata a Parigi un misterioso diario, subito sottratto da un complice doppiogiochista. Per recuperare il diario, i due inseguono l’uomo sull’Orient Express diretto a Trieste.
Di fatto, Trieste inaugurava così il cinema sulla guerra fredda. Ed era la prima volta che il suo nome compariva nel titolo di un lungometraggio, perché dovevano ancora arrivare sugli schermi i film patriottici tipo “Trieste mia!” (1951). La città infatti era sotto il Governo Militare Alleato ed era già diventata celebre quando Churchill, nel discorso di Fulton del 1946, aveva detto: “Da Stettino sul Baltico a Trieste sull’Adriatico, una cortina di ferro è scesa sull’Europa”.
Con “Vagone letto per Trieste” il cinema britannico – già protagonista dei thriller di spionaggio con i primi Hitchcock – lanciava dunque anche il filone sulla guerra fredda citando la sua città simbolo (in origine il treno doveva dirigersi “a Vienna”, città de “Il terzo uomo” di Carol Reed, di poco successivo).
Trieste entrava in questo modo nell’immaginario delle città al centro di intrighi internazionali, dove Parigi e Beirut, Londra e Singapore disegnavano una geografia globale avventurosa e attraente. Nel film, alla stazione di Parigi si sente il dialogo fra due ufficiali inglesi: “Amico mio, mi piacerebbe partire al tuo posto. Fra Trieste e la gaia Parigi, prendo Trieste. Ha più varietà” – “Ah sì? ” – “Senza dubbio: serbi, croati, bulgari, austriaci, italiani, turchi e greci”.
E probabile che questo dialogo, nonché la formula di “Vagone letto”, abbiano influenzato la successiva e più famosa pellicola spionistica su Trieste “Corriere diplomatico” (1952), stavolta hollywoodiana, interpretata dal massimo divo dell’epoca Tyrone Power. All’inizio, vediamo il Dipartimento di Stato di Washington ricevere messaggi dai luoghi “irrequieti” del mondo: “Corea, Tokyo, Berlino, Trieste”. E a Tyrone Power, che osserva la città dal finestrino dell’aereo, un ufficiale la descrive così: “Quello che durante la guerra erano Lisbona e Istanbul, adesso è Trieste. Spionaggio, controspionaggio, informatori, titini, antititini, stalinisti, antistalinisti. E in più diecimila soldati inglesi e americani, una popolazione simpatica ed entusiasta, e marinai d’ogni paese: il mondo in una città”.
Tyrone Power all’epoca non girò a Trieste, sostituito da una controfigura. Ma nel dicembre 1952 il giovane senatore John Kennedy venne in visita ufficiale dal sindaco Gianni Bartoli per vedere da vicino la “cortina di ferro”, come ricorda Lorenzo Codelli nel saggio “Trieste, un rideau déchiré” ( “una cortina strappata”, citazione hitchcockiana), nell’ultimo numero della rivista francese “Positif” dedicata proprio ai film di spionaggio.
“Corriere diplomatico” si svolge nella prima parte su un treno diretto da Salisburgo a Trieste. E “Vagone letto” è quasi tutto ambientato sull’Orient Express, che alla fine con una panoramica dall’alto vediamo entrare in stazione dopo il movimentato viaggio. Sono entrambi film che devono molto a quel modello “ferroviario” hitchcockiano che risale a “Il club dei 39” (1935) e “La signora scompare” (1938, sull’Orient Express), e che prosegue con “Night Train to Munich” (1940) di Carol Reed (con attori ripresi da Hitch). Oltre all’intrigo giallo-rosa, con personaggi anche comici, questi film inventano uno stile nell’uso degli spazi chiusi, fra corridoi, finestrini, wagon-lit e carrozze ristorante, dove il treno è sempre ricostruito in studio, ma ben presto lo si dimentica.
Tali film appartengono inoltre a una tendenza europea cosmopolita che, in controtendenza con i nazionalismi, nasce nel cinema degli anni’30 per rivolgersi a pubblici di diversi paesi e contrastare Hollywood. Sono film che riflettono il loro stile internazionale nella produzione, nel cast, nel racconto di viaggi e fughe, ambientati in luoghi dove confluiscono personaggi di ogni paese e di ogni lingua: wagon-lit, ma anche grand-hotel o piroscafi di lusso. Uno stile che proseguirà nella saga di James Bond e nelle cine-versioni di “Assassinio sull’Orient Express” tratte dal romanzo del 1934 di Agatha Christie.
Questo modello coincide naturalmente con l’epoca d’oro del Simplon Orient Express che univa Parigi e Istanbul, e aveva appunto Trieste come tappa fondamentale. Nel finale del romanzo “Dalla Russia con amore” (1957) di Ian Fleming (uno dei dieci libri preferiti di Kennedy), James Bond arriva con questo treno a Trieste. Nel film di sei anni più tardi, 007 preferisce gettarsi in corsa prima del confine e raggiungere Venezia, ma discorre di Trieste al ristorante.
Si sa che questa città ha un destino di crocevia. A questo punto non resta che attendere a Trieste un thriller di spionaggio sulla nuova Via della Seta. —
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