Senza i baffi l’uomo di Carrère rimane solo con la sua follia

La casa editrice Adelphi ripropone il romanzo uscito nell’87 storia surreale sullo spaesamento dell’uomo di oggi

Mary B. Tolusso

L’aveva pubblicato più di trent’anni fa la casa editrice Theoria, “I baffi” di Emmanuel Carrère, comparso in Italia nel 1987 e ora rieditato da Adelphi (pag. 149, euro 17). È un Carrère diverso, ma neppure troppo, in fondo i libri dell’autore francese hanno sempre trattato tematiche precise, la follia e l’orrore, se escludiamo forse “Un romanzo russo” dove la rincorsa è quella di liberarsi da certe personali inquietudini.

Carrère o si ama visceralmente o rimane un autore indifferente. La presa sui suoi lettori è quella di una scrittura fredda e lucidissima, mai consolatoria, di un groviglio di pensieri ben organizzati, di uno scavo interiore in cui, però – e qui sta la sua grandezza – non c’è mai un punto fermo e preciso sulla morale. Benché non difenda il male, Carrère non sta neppure al gioco di giudizi definitivi.

Ne “I baffi” si aggiunge un pizzico di surrealtà, una dimensione che, per quanto lineare e “possibile”, ci trascina dentro l’influsso di Dick o Kafka, lì dove il sogno diventa la cosa più reale. Tutto inizia con un taglio di baffi. Lui è disteso nella vasca da bagno e decide di sorprendere la sua donna, Agnès, tagliandosi appunto i baffi che porta da dieci anni. Pensa alla cosa come a uno scherzo. Già pregusta le reazioni di tutti proponendo qualcosa di diverso di sé, qualcosa che stupisca e rompa l’abitudine con cui gli altri l’hanno sempre visto. Non fosse che nessuno si accorge di nulla, né la sua donna né gli amici. All’inizio il nostro pensa che questa inaspettata indifferenza sia una presa in giro, una burla messa in piedi da Agnès, tanto per divertirsi. Ma lentamente quello che si immagina un gioco diventa un incubo. Inizia così un viaggio mentale spettacolare, la frantumazione millimetrica di una psicologia, con talento hitchcockiano. Un’analisi spietata della sua condizione mentale – forse l’inizio della follia – non senza esaminare anche la probabile pazzia degli altri.

Perché il protagonista conduce una battaglia mentale ferocissima e paranoica. Le domande sono tante: vogliono fargli uno scherzo? Vogliono farlo impazzire? Fino alla prevedibile teoria di un complotto da amanti, la volontà di farlo fuori da parte della moglie e del suo migliore amico, praticamente un cliché. Da qui la fuga verso paesi esotici, prima a Hong Kong, poi a Macao, anche questo è un tipico elemento dello scrittore: il viaggio. La tensione si accelera, la maestria di Carrère di rovesciare costantemente i ruoli dei potenziali folli è perfetta, il meccanismo di scrittura brillante.

Non c’è molta azione, non c’è granché dialogo, eppure Carrère ci mostra come le azioni si possono compiere anche da fermi, anche girando intorno a uno stesso pensiero, se il tema è potente. E quello di Carrère lo è. Perché per quanto apparentemente possa sembrare l’originale storia della genesi di uno squilibrio, l’autore ci sta dicendo come dentro la testa del protagonista potremmo esserci tutti. In fondo è un medio borghese come ce ne sono tanti, con tutte le solite inquietudini nei rapporti interpersonali – amicizia, lavoro – e soprattutto con se stesso. Un uomo moderno insomma che specialmente in quest’epoca ha bisogno sempre più di certezze. Tutto ciò che guasta queste certezze (a iniziare dalla propria identità), può portare sul baratro della follia. Il taglio dei baffi quindi, una modifica percepibile di sé ma non intesa, non veduta dagli altri, diventa una metafora esemplare: non essere più certi di esistere. E soprattutto non essere certi di esistere come ci pensiamo. Forse il dettato è anche un altro, ossia come siamo sempre soli in tutti i nostri dubbi e in tutte le nostre certezze. E quanto poco possano comprenderci pure coloro che pensiamo amarci di più. Perché quella de “I baffi” è proprio una corsa alla solitudine, estremizzata e deviata, ma ci restituisce il senso di isolamento e frustrazione che tutti, per lo meno una volta provano. —

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