Scoprire il Collio - Itinerario 7 - Viaggio sui colli dove la brina nasce dagli abiti delle fate

«Mi annoio», mi fa. Guai in vista, penso, e suggerisco: «Vai a fare una camminata, adesso si può. Non dimenticare la mascherina!».
«Guarda che, fuori, adesso sta diluviando», mi fa notare. Alzo gli occhi dalla tastiera e scopro che ha ragione. Rinuncio a lavorare; meglio rispondere, quando ti chiedono qualcosa: l’occasione potrebbe non ripresentarsi.
«Pensavo di andare sul Collio, domenica, per uno di quei percorsi con le storie, sai» - arrischio -. «Magari “Le fate del Preval”».
«Ma è da piccoli!».
«Sì, ma è il più corto, e noi siamo fuori allenamento. Se va bene per i bambini, agli adulti non sarà vietato, no?».
«D’accordo. Ma là ci andremo domenica, se non piove. Mentre è adesso che mi annoio».
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«Adesso ci leggiamo qualcosa». Poiché lo vedo offuscarsi, cerco di aggiustare il tiro: «È un gioco, e le regole son queste. Prima: con i libri costruiremo delle sequenze: io ne propongo uno, tu continui con un altro, poi tocca di nuovo a me e così via. Seconda: vietato procedere a casaccio: ci dev’essere sempre un nesso».
«Di’ la verita, sta cosa la covavi da tempo! Vabbè, comincia tu».
«Hai ragione, mi sono preparata - confesso -. In previsione della passeggiata con la fiaba, ho ripreso in mano “Le leggende del Friuli e delle Alpi Giulie” di Anton von Mailly, e ci ho trovato “Le fate della brina sul Collio”. Ascolta, te la leggo: “Nella zona collinare del Collio presso Gorizia, che nel medioevo i tedeschi chiamavano in den Ecken (negli angoli), di notte si alza spesso un forte vento per annunciare il raduno degli spiriti della notte. Nell’oscurità le Vile scendono nella valle. I loro abiti trasparenti brillano come fossero trapunti di diamanti e di gemme. Su un prato si tendono le mani per una lenta ridda. Quando sorge il sole perdono i loro gioielli: l’una dopo l’altra le gemme si staccano dai loro veli fluttuanti, trasformandosi nella brina sui prati”» .
«Viene da leggende slovene, la storia?».
«Sì. Mailly, però, la riprende da un libro: “Alpi Giulie” di Giuseppe Caprin, stampato a Trieste nel 1895. Non l’abbiamo in casa, bisognerebbe cercarlo in una biblioteca».
«Può darsi riesca a trovarlo nel web. Ora tocca a me, no? Fatto! Ed è pure liberamente scaricabile. Mmh, sono più di 400 pagine … bè, avrà un indice, no? Qui scrive di Castelli del Coglio … ma si diceva proprio così, nell’Ottocento? Ecco, trovato, a pagina 261. Toh, Caprin la fa finire in maniera diversa: per lui le gemme diventano rugiada, non brina. Bah, non mi piace come scrive, preferisco Mailly. E poi mi sa che queste sono più streghe che fate…».
«Tutte le fate sono anche streghe», sentenzio.
E lui: «Come le madri?»
Mi trafigge. «Touchè. Riparto da Mailly, se non ti dispiace. Nel “Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei friulani” ci sarà bene una voce che lo riguardi. Eccola, infatti: “Mailly von, Anton folclorista”; l’autore è Hans Kitzmüller».
«Kitzmüller? Di quello lì abbiamo un libro, in casa!».
«Più di uno, a dir la verità».
«Sarà, ma io ne ricordo uno con un paesaggio in copertina: c’era una pianura verde attraversata da un fiume, e sopra un cielo chiaro, con delle gran nuvole rosa … Mi piaceva».
«Un cielo da alba, o “da trionfo barocco gesuitico”. Vado a ripescarti il libro dallo scaffale. È questo, vero? Hans Kitzmüller, “E in lontananza Gorizia”, del 2009. Parla del Collio (nei suoi vari nomi: In Ecken, Brda, Cuei), come di altri “paesaggi vissuti”. Ci trovi infiniti riferimenti possibili! Io passo a Peter Handke, di cui Kitzmüller, nelle Edizioni Braitan (cioè Brazzano) ha tradotto e pubblicato il “Canto alla durata” già nel 1988».
«Handke, dici? L’austriaco che ha pronunciato il suo discorso al funerale di Slobodan Miloševič? E che l’anno scorso si è preso il premio Nobel?».
Gli rispondo di sì, spiegandogli che bisognerebbe cercare di capirne bene la posizione «anche senza necessariamente condividerla», come ha scritto Hans Kitzmüller.
«Va bene, ma ora io ripartirò dal cielo: da quello dell’alba al “Cielo sopra Berlino”, il film di Wenders, ricordi?».
«Sì. Hai fatto doppio centro, sai? Sono di Handke i versi da cui Wenders fa cominciare il film. Ne so alcuni a memoria: “Als das Kind Kind war…” - recito - e proseguo in italiano come nel doppiaggio: “Quando il bambino era bambino, era l’epoca di queste domande: perché io sono io, e perché non sei tu? Perché sono qui, e perché non sono lì? Quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio? La vita sotto il sole è forse solo un sogno?».
«Quelli che recita il vecchio all’inizio. Sai che ti dico? Visto che dal Preval siamo arrivati a Berlino, il gioco finisce. Vado a riguardarmi il film di Wenders».
Si allontana, e mi tornano in mente i versi finali dell’Elogio dell’infanzia: “Quando il bambino era bambino, lanciava contro l’albero un bastone come fosse una lancia, che ancora continua a vibrare”.
Questa, più che un’anteprima, è una bibliografia, per affrontare preparati il percorso “Le fate del Preval”. Vi aggiungo i numeri degli obiettivi di Sviluppo sostenibile previsti dall’Agenda Onu 2030 che vi sono connessi: 3, 13, 14 e 15. Termino con un’ultima citazione da Handke: «Adulti conservate la vostra andatura infantile (preghiera)». —
*Archivista professionista di Gorizia.
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