Scoprire il Collio, itinerario 2 - Viaggio nel castello di Spessa dimora del fascino di Giacomo

Collio XR è un progetto di Fondazione Carigo ideato con Intesa Sanpaolo. Con la realizzazione Digital Experience di Ikon e lo studio paesaggistico di Land Italia. L’itinerario: Memorie di Giacomo Casanova prevede come punto di partenza: Piazza XXIV Maggio Cormons, nel cuore del Collio, in provincia di Gorizia. La lunghezza del tracciato è : 11.5 chilometri e il tempo di percorrenza in bici è di circa: 1 ora e 10 minuti. A piedi 2 ore e 20 minuti. Lo stile narrativo è quello del racconto biografico. L’autrice del percorso è Lucia Pillon con la sceneggiatura di Giovanni Ziberna. La ricerca storica, ambientazioni e approfondimenti sono sempre a cura di di Lucia Pillon.
SPESSA A Spessa, prima, c’era solo una torre. Vicina a una fornace per cuocere i mattoni. L’area del Preval, del resto, era una palude; fanghi e argille non mancavano di certo. Il nome di ‘Spessa’, però, compare per la prima volta legato a una vigna: nel 1359 (dicono quelli che ne sanno, gli storici), quando il nobile Andrea del fu Mainardo di Floyana destinò alla fraterna dei Battuti di Udine i proventi che a lui spettavano da una vigna in Spessa. Questi Floyaner avevano casa nel castello di Cormons. Una casa dentro un castello, direte voi? Bè, c’è dietro tutta una storia.
All’interno delle mura del castello che sorgeva sul monte Quarin (ma gli attuali resti della rocca risalgono a una costruzione più tarda), una strada collegava la porta d’entrata con il forte per i soldati della guarnigione: dritta era, con case addossate su entrambi i lati; strette in facciata, ma allungate in profondità, perciò grandi e confortevoli. Lo spazio per costruirle era stato concesso dal conte di Gorizia (nel Medioevo gli spettava gran parte del Collio, che divideva con il patriarca di Aquileia e con il monastero di Rosazzo) a uomini che gli avevano giurato fedeltà.
Su quegli spazi i suoi ‘fedeli’ avevano promesso di costruire delle case solide, di restarci ad abitare e di prestare un servizio militare: dovevano difendere il castello e per questo ricevevano anche una rendita, che veniva da terre nei dintorni.
La promessa doveva essere mantenuta anche dai figli, e dai figli dei loro figli, che in cambio potevano godere dei benefici concessi ai padri. Quelle che abitavano dentro il castello, dunque, erano famiglie di potere, o che lo erano state, o che brigavano per diventar tali, partendo dal costruirsi una casa entro le mura.
I primi erano stati gli Sbruglio, con i loro parenti Ribisini e gli Strassoldo, gli Ungrispach venuti dalla valle del Vipacco, i Neuhaus, che anche giù a Cormons avevano una gran casa di pietra, poi i Dornberg e altri, come i Floyana.
Forse già sapete che nel 1500 il conte di Gorizia, Leonardo, era morto senza lasciar figli e che più o meno dieci anni prima aveva stipulato un patto con gli Asburgo, ai quali la contea doveva passare dopo la sua morte. Le cose, poi, non erano andate lisce come previsto; scoppiò la guerra con Venezia e la questione fu chiusa appena nel 1521, quando si stipulò la pace di Worms. Bè, definirla ‘chiusa’ è eccessivo: rimasero aperti molti problemi, primo fra tutti quello dei confini con Venezia, ma sono cose troppo complicate per occuparcene qui; non la finiremmo più... È una storia molto lunga e complessa.
Certo è che i Dornberg fecero delle gran belle carriere, al servizio degli Asburgo. Negli anni Trenta del Cinquecento pare avessero cominciato a riunire un bel po’ di terre nella zona di Capriva e Spessa, ricca di buone vigne. Attraverso successivi passaggi, legati a matrimoni con relativi contratti di dote, il bene di Spessa finì – si racconta – a Sigismondo della Torre, che apparteneva a un’importante famiglia.
Si trattava di quei della Torre che, signori di Milano e avversari dei Visconti, dopo la sconfitta subita a Desio nel 1277 si erano spostati in Friuli, dove uno di loro, Raimondo, rivestiva la carica di patriarca di Aquileia. Avevano ottenuto beni che fruttavano molto e incarichi importanti, capaci di procurare rendite altrettanto fruttuose. Erano un gruppo esteso, diviso in più linee: Sigismondo apparteneva a quella friulana, detta di Villalta e Spessa, appunto.
Fu un conte della Torre (Thurn in tedesco), Luigi, a ospitare a Spessa sia Giacomo Casanova, nel 1773, che Lorenzo Da Ponte, nel 1779.
A distanza di sei anni uno dall’altro. Entrambi lo chiamavano «il Torriano», ma lo descrissero in maniera opposta.
Il primo, che lo conobbe a Trieste, invitato a trascorrere il settembre a Spessa, si ritrovò a doverlo aspettare a Gorizia, male alloggiato in albergo, e si vendicò nelle sue memorie accentuandone le stranezze da lunatico.
Il secondo ne fece un ritratto diverso. Vale la pena di riassumerlo, se non altro per ricordarci che su fatti e persone possono coesistere diversi punti di vista.
«Il giorno avanti la mia partenza – scrive Da Ponte – il conte Torriano, nella cui casa da qualche tempo io dimoravo, invitò tutti gli amici suoi a una splendida cena».
Dopo aver mangiato si misero a giocare, come al solito. Il denaro perduto finiva in un salvadanaio, poi destinato a uno scopo deciso in comune.
Chi riuscì, quella sera, a riservare la somma alle spese del viaggio di Da Ponte verso Dresda fu proprio il Torriano, meritandosi la riconoscenza del futo librettista di Mozart.
Tra il suo soggiorno e quello di Giacomo Casanova era intercorso, va detto, il matrimonio di Luigi della Torre con la Isabella di Brazza e Cergneu; pare che poter disporre della ricca dote della moglie avesse trasformato il conte in un prodigo esagerato.
Di lei tutti dicono un gran bene: Lorenzo Da Ponte ne parla come di un «angelo di bontà», e buona la ritiene nel suo diario pure il conte Carl von Zinzendorf, che a riguardo del marito si allinea, invece, al giudizio di Casanova: «M.me Thurn est bonne femme, son mari un animal».
Questa breve storia del castello di Spessa si arresta agli anni in cui Casanova e Da Ponte sono ospiti del conte Luigi della Torre. Proprio le memorie che Casanova riserva a questo suo soggiorno sono alla base del percorso Collio XR a lui dedicato. Casanova è un bon vivant che apprezza i buoni cibi e vini di Spessa, ma è anche attento osservatore della realtà, di cui sa cogliere le ingiustizie.
Il racconto, infatti, ben si connette agli obiettivi 1, 2 e 10 dell’Agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile. —
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