Sciascia e la passione per Maigret un investigatore non di carta

Un saggio di Adelphi fa scoprire gusti e ispiratori dello scrittore siciliano

Il genere, quello che Vitaliano Brancati liquidava «come letteratura orribilmente mediocre, quasi pornografia», lo aveva sempre intrigato. All'edicola della stazione di Caltanissetta Leonardo Sciascia era solito acquistare un paio di gialli Mondadori, considerati buoni compagni di viaggio. Da ragazzo li divorava. Ma nonostante la passione e l'interesse personale per il poliziesco, lo scrittore siciliano con il passare degli anni non riusciva ad andare oltre a una ventina di pagine finchè s'imbattè, del tutto casualmente, ne "La morte alla finestra" di Geoffrey Holiday Hall. Una vera folgorazione.

Sciascia volle sapere qualcosa di più su quell'autore americano che lo aveva rapito, andò anche a fare visita ad Alberto Tedeschi, allora direttore della fortunata collana della Mondadori ma non ci fu verso. Nessuno aveva notizie di Geoffrey Holiday Hall. Un fantasma. Aveva fatto perdere le tracce ed era chiaro a quel punto che quello era uno pseudonimo dietro il quale chissà quale famoso scrittore s'era nascosto. Magari un romanziere che si vergognava di aver scritto un poliziesco, genere disprezzato dagli intellettuali dell’epoca. Sciascia allora cambiò strategia: con il consenso di Tedeschi propose quel giallo così atipico e avvincente a Elvira Sellerio che lo trasformò in uno dei suoi libriccini blu con un nuovo titolo “La fine è nota”. Un successo in libreria. Il “marchio di fabbrica” di Sellerio aveva il potere di sdoganare anche i polizieschi.

Questo aneddoto si trova in un capitoletto del saggio "Il metodo di Maigret e altri scritti" (Piccola Biblioteca Adelphi, 13 euro pagg. 191). Una vera indagine sul giallo e sui suoi autori. Come si evince dal titolo, l'interesse di Sciascia si concentrò presto su Georges Simenon e sul suo commissario Maigret. Dopo aver esplorato il genere passando da Edgar Allan Poe a Mickey Spillane (alla fine ripudiato perchè troppo truculento e troppo erotico), l'intellettuale siciliano restrinse la sua inchiesta sul giallo alle opere dello scrittore belga. A Sciascia piaceva il metodo Maigret, trovava interessante la sua struttura narrativa, l’impianto, le sue dinamiche e le atmosfere. Per Simenon una piccola storia era il pretesto per esplorare tutto un microcosmo. Tutto ciò accadeva nel 1961 quando ancora Simenon era ingiustamente confinato tra gli scrittori di serie B e mentre Sciascia si accingeva a pubblicare "Il giorno della civetta".

Lo scrittore di Racalmuto come sempre andava controcorrente sostenendo che i romanzi del “collega” belga (l’esempio citato è il “Borgomastro di Furnes”) valevano ben più di quelli dell'école du regard e a tale proposito scriveva: «E anche qualcuna delle avventure del commissario Maigret ha più diritto di sopravvivenza di quanto ne abbiano certi romanzi che, a non averli letti, si rischia di sfigurare in un salotto letterario». Sciascia era completamente affascinato dal personaggio di Maigret. «Un personaggio, non un tipo. Un personaggio che ha avuto un'infanzia, che ha dei ricordi, che si è sposato, che ha il cruccio di non avere figli...». Dall'esordio di "Pietro il Lettone" - scriveva Sciascia - è diventato sempre più vivo, sempre più reale. Ecco dove stava la differenza tra il poliziotto che fumava la pipa e gli altri investigatori di carta. Un protagonista normale, più credibile del Mike Hammer di Spillane ma anche di Sam Spade, creatura di Dashiell Hammett.

Eppure, per convinzione, snobismo letterario o per pura invidia non mancavano di certo i detrattori dell'autore belga. Secondo lo scrittore Ruggero Savinio, Simenon sotto sotto non era altro che un Dostojevskij mancato o un Gogol mancato. Naturalmente tesi confutata da Sciascia: «Il metodo di Maigret per giungere a un mistero poliziesco praticamente si ripete in tutti i romanzi di Simenon: è la sua tecnica narrativa, il suo modo di ordinare la realtà, di darle un senso, di collegare le cause agli effetti, di far scaturire dal mistero la verità a essere convincenti. «Maigret vede perchè ama. Non c'è personaggio nella letteratura contemporanea che ami la vita e gli uomini come il commissario».

Tutto questo studio di Sciascia va ben oltre all'apprezzamento di Simenon-Maigret. Per lo scrittore siciliano è lavoro, apprendimento, studio. Quei meccanismi narrativi erano l'operazione preparatoria per la costruzione dei grandi libri di denuncia del maestro siciliano. Quelle storie di mafia che lui si accigeva a raccontare dovevano trovare il binario giusto e anche i personaggi com la giusta dose di umanità. Simenon e Maigret diventano un punto di riferimento o se vogliamo le fondamenta dei suoi gialli. Da queste indagini sono usciti personaggi come il capitano Bellodi del "Giorno della civetta", l'ispettore Rogas del "Contesto" e il brigadiere Lagandara di “Una storia semplice” senza tralasciare altri grandi titoli come "A ciascuno il suo" e “Todo modo". Sciascia in questo saggio lascia intendere che avrebbe dovuto pagare piccoli debiti anche ad altri giallisti e li cita: a Geoffrey Holiday Hall, G.K.Chesterton (quello di padre Brown, ma è più facile ricordarsi del volto di Renato Rascel), Agatha Christie (Hercule Poirot), Erle Stanley Gardner (Perry Mason), Rex Stout (Nero Wolfe), Edgar Allan Poe (ispettore Auguste Dupin). Li aveva studiati uno per uno e, visti i risultati, ne aveva carpito il meglio.

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