Sarina Reina: «Io traduttrice di Stein, Glavinic e Meyer»

di ELISABETTA D’ERME
La Scuola interpreti e traduttori di Trieste, recentemente segnalata dalla classifica Censis non solo tra le eccellenze dell'Università triestina, ma anche come migliore d'Italia per le lauree di tipo linguistico, è una vera fucina di talenti. E proprio da questa Scuola che si è creata un nome non solo in Italia ormai da tempo, dove si è laureata in tedesco, inglese e spagnolo, che proviene Sarina Reina. Una brillante traduttrice letteraria, che sembra prediligere le prove più ardite, come testimonia la sua ultima fatica, "A Trubschachen" di E.Y. Meyer.
Triestina, ma - come tanti in città - di origine mista, Sarina Reina è cresciuta bilingue da madre svizzera e padre siciliano. «A Trieste si è privilegiati, - ammette - perché vi convivono tante culture e perché ci si vive benissimo».
La traduzione è per lei qualcosa di "spontaneo", perché abituata da sempre a tradurre anche ciò che pensa, ma è per lei soprattutto «una sfida, un'attività stimolante, che vale la pena fare».
Non stupisce dunque che si sia cimentata con testi ed autori particolari come "Paris, France" (Edt) della scrittrice modernista americana Gertrude Stein, o le memorie "La Via dei Pirenei" (Manifestolibri) dell'ucraina Lisa Fittko, i romanzi "La sfida di Carl Haffner" (Beit) dell'austriaco Thomas Glavinic o "Vedo una cosa che tu non vedi" (Marsilio) della tedesca Birgit Vanderbecke.
«Oggi in Italia, però, la traduzione letteraria è pagata malissimo - si duole Reina - e quindi chi vuole concedersi questo "lusso" deve essere disposto anche a tradurre "altro" per potersi mantenere». E nel suo caso "altro" significa tradurre guide turistiche e letteratura di viaggio.
«Quando ho finito di studiare - racconta - ho mandato in giro curriculum chiedendo di fare prove di traduzione e la prima casa editrice a rispondere affermativamente è stata l'Edt che stava iniziando a pubblicare le guide Lonely Planet. L'Edt ha poi lanciato una collana di letteratura di viaggio che mi ha dato la possibilità di fare un lavoro di scouting ed ha portato alla pubblicazione di mie traduzioni del libro di Gertrude Stein su Parigi, dei volumi di Rebecca West sui Balcani, del reportage di Ella Maillart sull'Afghanistan, del travelogue di Reinhold Schneider sul Portogallo, o di "Un giorno viaggiando", l'incredibile autobiografia dell'inglese Tony Wheeler, l'inventore delle guide Lonely Planet, che ho avuto anche l'avventura di accompagnare in giro per l'Italia in occasione della presentazione del libro. È nata così una passione anche per questo stimolante genere letterario».
Un mestiere non facile, dunque, quello del traduttore, e anche solitario... forse ancor più di quello dello scrittore. Una solitudine mitigata dai contatti con i colleghi per pareri o consigli su problemi linguistici o, nel caso delle traduzioni letterarie, dal confronto con un redattore della casa editrice o con un lettore esterno, forse un amico o un'amica esperta che rileggono il testo e con i quali il traduttore discute dei punti che "non suonano bene" o che, per qualche motivo, "bloccano" la lettura. E poi - se ha la fortuna di tradurre scrittori viventi - c'è il rapporto che viene a stabilirsi con l'autore.
Sarina Reina racconta che «lo scambio diretto con l'autore è uno tra gli aspetti interessanti di questo mestiere. In generale gli autori con i quali ho lavorato erano disponibili e curiosi dei problemi che possono sorgere durante la traduzione. Per esempio sia con Wheeler o con la Vanderbecke c'è stato un intenso rapporto epistolare via e- mail, ma forse soprattutto con lo scrittore svizzero E.Y. Meyer, l'autore di "A Trubschachen"».
Il romanzo, uscito nel 1973 per Suhrkamp e tuttora un libro di culto, è in realtà il testo su cui Sarina Reina si è laureata e che ha sempre desiderato tradurre, ma le case editrici a cui lo aveva proposto si erano lasciate spaventare dai suoi aspetti più sperimentali, dati ad esempio dall'assenza di un personaggio principale tradizionale, in quanto il soggetto narrativo è un pronome impersonale, il "man " in tedesco (il "si" in italiano) ed il modo verbale prevalente della narrazione è il condizionale. Infine, ad accettare la sfida, è stato un piccolo editore ticinese, la Adv Publishing House di Lugano, anche grazie al contributo dell’associazione Pro Helvetia.
«Spesso - ritiene Reina - bisogna tentare di mettere assieme la buona volontà di un editore, il coraggio di rischiare, e finanziamenti esterni. Esistono fondazioni private, ministeri della cultura, enti che finanziano le traduzioni, ma è un peccato che all'interno del sistema editoriale italiano non sia prevista la possibilità di remunerare i traduttori in maniera decorosa».
Un peccato, perché il lavoro del traduttore è preziosissimo e insostituibile, infatti è solo grazie alla discreta, sapiente mediazione operata dal traduttore, tra il testo straniero e la nostra lingua, che siamo in grado di leggere libri che altrimenti resterebbero per noi inaccessibili.
«Di ogni testo possono esistere innumerevoli traduzioni, ma non tutti possono tradurre tutto», sottolinea Sarina Reina. E poi aggiunge: «La mia è sempre una delle tante, possibili, traduzioni. L'importante è trovare una coerenza, ovvero la propria voce all'interno della voce dell'autore».
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