Saba cercava nel calcio l’appartenenza a Trieste e il sogno di non essere solo

la recensione
Un rito di passaggio che quasi ogni uomo ha compiuto. Entrare in uno stadio di calcio, meravigliarsi per l’erba verde là sotto, le righe bianche tirate sul rettangolo, la folla compatta attorno, la forza trascinante e tribale dei cori durante la partita. Di solito accade da bambini, guidati dalla mano del padre. Di solito. Invece Umberto Saba entrò per la prima volta in uno stadio di calcio a 50 anni. Eppure anche l’uomo di mezza età che era rimase coinvolto, estasiato, frastornato. Domenica 15 ottobre 1933, allo stadio di Valmaura si giocava Triestina – Ambrosiana Inter. Il poeta non si interessava di calcio, non lo aveva mai praticato né seguito. Un amico che non poteva andare quel giorno alla partita, racconterà lui stesso in “Storia e cronistoria del Canzoniere”, gli diede il biglietto. Per curiosità, o forse spinto dal desiderio di vincere la noia della solita domenica, il poeta ci andò. E inaspettatamente accadde qualcosa che trasformò la sua freddezza in uno scoppio di entusiasmo, in un flusso di quella ”calda vita” che per Saba era la regione degli istinti, del pathos e dell’eros. Al diavolo le fumisterie, le nevrosi e le ritrosie, le passeggiate solitarie a Sant’Andrea: si va allo stadio, alla partita. Per una volta insieme agli altri, in mezzo alla folla, con le orecchie rintronate da quel coro ritmato e martellante, U-nio-ne U-nio-ne che ripetuto come un mantra lo scioglie fin dentro il midollo. Tornato a casa, è così stravolto da quell’esperienza che scriverà le celeberrime “Cinque poesie per il gioco del calcio”, non a caso legate assieme da un senso di partecipazione emotiva, di unità, di unione appunto.
Cosa accadde in quei novanta minuti perché il ritroso Saba, quello del “cantuccio in cui solo siedo”, scrivesse’anch’io tra i molti vi saluto, rosso alabardati’? Lo spiega uno studio di Alberto Brambilla, che attualmente fa parte dell’Equipe Litterature et culture italiennes della Sorbona, ed è appassionato di calcio. Anzi, di più, tifoso. Tanto da ammettere di aver invaso il campo, dopo un Pro Patria – Triestina di una ventina di anni fa per inseguire l’arbitro. E certo non per stringergli la mano.
Nel suo libro “Saba, Trieste, il calcio”(Biblohaus in coedizione con Drogheria 28, pagg. 99, euro 15) divagazione, capriccio in senso musicale, studio critico, Brambilla esercita la filologia calcistica, disciplina di statuto ufficioso ma ormai dilagante, come scrive Massimo Raffaelli nell’introduzione, che si occupa dei testi scritti a proposito del gioco e di cui Brambilla è uno dei suoi pionieri. Il libro sarà presentato mercoledì 4 dicembre alle 18 alla libreria Ubik di Trieste con Fulvio Senardi e Simone Volpato, presente l’autore.
Perché – si chiede Brambilla – Saba, che non sapeva nulla di calcio, ha dedicato cinque poesie a questo gioco? Con una accurata esegesi dei testi di Squadra paesana, Tre momenti, Goal, Fanciulli allo stadio, Tredicesima partita, condotta con l’acume del critico e la passione del calciofilo, Brambilla arriva alla conclusione che Saba trovò nel calcio la proiezione del suo ambivalente desiderio di solitudine e di comunità. A lui non interessa che la Triestina diventi una squadra importante, di livello nazionale, scrive Brambilla. Anzi, ciò potrebbe per Saba rappresentare un pericolo, la perdita di identità. A lui importa che essa rappresenti la comunità cittadina, che sia il luogo del riconoscimento di appartenenza ad una storia condivisa. Aderire a tale cerchia sentimentale per il poeta significa dunque rompere la solitudine e condividere delle esperienze. Merito del poeta, secondo Saba, è cogliere questo processo chimico e sentimentale (che è da lui definito «conpalpitare»), evidenziandone il significato profondo: «V’ama / anche per questo il poeta, dagli altri / diversamente – ugualmente commosso». Ecco la specificità di Saba: riuscire a vivere insieme agli altri almeno qualche momento privilegiato, condividendone valori e sentimenti (come precisa l’espressione «ugualmente commosso»); e tuttavia conservare di ciò una consapevolezza critica («diversamente»), una coscienza filosofica ed esistenziale. Anche se in tutto Saba non vide che poche partite, comprese però molto bene la potenza simbolica del calcio. In “Storia e cronistoria” scrive che “la gente non si eccita tanto per il gioco in sé, quanto per tutto quello che, attraverso i simboli espressi dal gioco, parla all’anima individuale e collettiva”.
Nel volumetto di Brambilla, impreziosito tra le altre illustrazioni da un disegno a matita non firmato ma sicuramente di Virgilio Giotti, datato 1934 e trovato da Simone Volpato tra le carte del Centro di studi triestini Giani Stuparich fondato da Anita Pittoni, che ritrae un portiere e probabilmente ispirato dalle poesie sabiane, Brambilla affronta tanti piccoli ma intriganti nodi. Cerca di dare un nome all’amico che avrebbe convinto Saba a varcare per la prima volta il cancello di uno stadio. Pensa (non fidandosi di quanto scrive Saba nella “Storia e cronistoria”) si tratti di Carletto, il suo assistente in libreria, lui sì tifoso della Triestina e il cui umore ogni lunedì variava a seconda del risultato ottenuto dalla squadra il giorno prima. Poi si chiede quale fu la gara che Saba ritrae in’Tredicesima partita”. Saba ci dice che si trattava di Padova – Lazio. Ma Brambilla, spulciando almanacchi e intrecciando dati, giunge alla conclusione che si trattasse di Triestina- Padova e che Saba, offeso perché un calciatore alabardato cui aveva fatto leggere una delle sue poesie non l’avesse gratificato come si attendeva, si fosse vendicato, cancellando di fatto il nome della squadra della sua città. Nessuna meraviglia conoscendo le bizze e i rancori del poeta, anche per questo tifoso di calcio ad honorem. –
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