Ronnie Jones: «I talent show? Meglio i locali, senza applausi falsi»

Cantante, autore di successo, dj radiofonico e televisivo. Arriva a Trieste Ronnie Jones, figura di riferimento degli anni ’80 quando diede vita a uno dei programmi musicali di maggior successo della tv. Stasera alle 21.30 sarà in concerto a ingresso libero al Loft assieme a Mike Sponza e la sua band: Moreno Buttinar, Roby Maffioli e Michele Bonivento. Special guest, Angelo Chiocca.
Nato a Springfield nel '37, in Italia è giunto al successo con la canzone “Rock Your Baby” e successivamente come attore nel cast dei musical “Hair” e Orfeo 9 di Tito Schipa jr.
Jones, com’è nato il progetto?
«Collaboro con Sponza da più di 15 anni. Anche se i brani tradizionali fanno parte del mio bagaglio non sono un bluesman in senso stretto, a me piace il soul. Mi associano a questo genere perché negli anni ’60 mi ha scoperto dal padre del blues inglese, Alexis Korner. Con Sponza abbiamo allestito uno show arrangiando i brani affinché la musica tornasse alle origini del blues: eseguiamo brani di Eri Clapton e B.B. King, i miei prediletti, "Give me the Night" in versione rivisitata, un pezzo di Otis Redding e un mio brano "Bang", che nasce come brano disco, ma qui abbiamo reso quasi blues. È venuto bene e alla gente piace».
Trieste?
«È una bella città, con una splendida piazza sul mare. L’ho visitata sia come cantante che da dj negli anni ’80 e ci torno molto volentieri».
L’ultimo suo cd, "The Man", è uscito a novembre. Di che cosa parla?
«Non ho mai smesso di scrivere: ho composto 400 canzoni anche se dico sempre di averne vendute solo quattro, però importanti come “Bambino io bambino tu” per Zucchero e “Let’s all dance” per la Band of Jocks. Nel 2006 ho inciso anche un album, "Again": sembrava stessi per decollare, ma non è andata. "The Man" parla dell'uomo di oggi, che sta distruggendo il mondo e di come tratta la donna. In una canzone, quasi un gospel, "Strenght" - in duetto con Adinne - chiedo la forza di amare la mia donna».
Lei ha vissuto gli anni migliori della musica...
«La differenza è che oggi è tutta pilotata: i dj allora sceglievano i brani da proporre, oggi in radio c’è un editore che li impone. Non c’è libertà, sono solo speaker. Questo influisce anche su ciò che che vediamo in tv: i reality attirano i giovani con la promessa di diventare star, ma una volta arrivavi sul piccolo schermo se avevi già fatto gavetta e poi potevi andare per la tua strada. A "Popcorn" sceglievo io le canzoni in base alla loro bellezza e i big venivano perché il programma tirava. Se fossi un emergente e mi chiedessero di scegliere tra "Amici" o il Blue Note sceglierei il locale: hai un contatto diretto col pubblico e non ci sono applausi falsi. Oggi è tutto usa e getta, senza qualità».
Come si può cambiare?
«Dobbiamo tornare indietro e ripartire. Andrebbero avanti i più bravi e non i quaquaraquà».
Qualche giovane che l’ha colpita?
«Gregory Porter: la sua voce è uno strumento e ha un look particolare. Ce ne sarebbero altri, ma hanno dimenticato come si interpreta».
E tra i big, chi le è rimasto più impresso?
«George Benson, con cui ho avuto onore di condidivedre il palco, seguendolo in tour come corista: un’esperienza indimenticabile. E poi gli Earth, Wind & Fire. Ma anche incidere con Steve Lukather dei Toto, Billy Cobham e Bill Evans è stato eccezionale». —
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