Romeo Toffanetti a Trieste festeggia Nathan Never con due albi pieni di robot

di Alessandro Mezzena Lona
Nathan Never lo potrebbe disegnare anche nell’angolo più nascosto del mondo. Ma non senza musica. Per questo, dopo otto anni trascorsi nel buen retiro di Barcis, Romeo Toffanetti ha deciso di cambiare casa. Trasferendosi a Trieste. Dove, da un paio d’anni ormai, ha cominciato a frequentare il maggior numero possibile di concerti da camera e corali.
E, ovviamente, non ha smesso di disegnare storie di Nathan Never. Una, nuovissima, è in uscita venerdì 18 marzo con le tavole firmate dal disegnatore nato a Pordenone e la storia scritta da Giovanni Eccher, lo sceneggiatore milanese che ha lavorato anche per il cinema. E visto che l’agente del futuro, creato da Michele Medda, Antonio Serra e Bepi Vigna per Sergio Bonelli Editore, festeggia il venticinquesimo compleanno nel 2016, l’attesa degli appassionati di fumetti è alta.
«La prima storia, che arriva nelle edicole la settimana prossima - racconta Romeo Toffanetti - si intitola “Niente è per sempre”, mentre per la seconda parte bisogna aspettare fino ad aprile e il titolo ancora non c’è. Questi e altri albi preludono al numero 300, a colori, che celebrerà i 25 anni di Nathan Never. Disegnato da Roberto De Angelis, che dal maggio 1996 al febbraio 2012 ha realizzato tutte le copertine per gli albi dell’agente del futuro».
Cosa si può dire della storia?
«Questa è la prima volta che lavoro con Giovanni Eccher. E devo dire che mi sono trovato molto bene. La storia fa il punto sul mondo dei robot nelle storie di Nathan Never. Partendo dalle celebri leggi della robotica di Isaac Asimov, che sono un punto fermo nei rapporti tra uomini e macchine. Però quest’avventura non ha niente a che vedere con film adrenalinici come “Io, robot”. La definirei molto intimista, poetica. Cerca quasi di sondare l’anima dei robot».
Difficile da disegnare?
«Difficile soprattutto rendere bene tutti i robot che compaiono nella storia. A partire da Omega, il cyborg cattivo diventato ormai presenza fissa nella serie. Ho dovuto curare bene il lato espressivo delle macchine. E dal momento che non sono umane, rendere i loro cambiamenti di umore è tutt’altro che un gioco».
Ha seminato citazioni, cose personali, nelle tavole?
«Come sempre. Nel negozio di Mac, l’amico robotico di Nathan che colleziona cose vintage, mi sono divertito a infilare immagini di Charlie Mingus, Jimi Hendrix, il manifesto di “Barry Lyndon” di Stanley Kubrick. Ma anche un disco al quale ho collaborato».
Di che disco si tratta?
«Si intitola “A fine day between addictions”, è uscito nel 2007. Ho aiutato il mio amico Diego Sandrin a fare gli arrangiamenti, a scegliere gli strumenti giusti per ogni pezzo, a produrre i brani. Non sono un musicista, però ho ascoltato tonnellate di dischi. E nel mondo delle sette note mi sento a mio agio. Lui è davvero un grande. Ha vissuto per 15 anni in America, ha scritto brani per Lisa Marie, la figlia di Elvis Presley. Adesso è rientrato in Italia ed è pronto a registrare un nuovo album. Nel frattempo è diventato uno dei più grandi collezionisti al mondo di whisky».
Come vi siete conosciuti?
«Da ragazzi siamo stati insieme a scuola. Al Collegio Don Bosco di Pordenone. Poi lui è diventato punk e quando si è stufato di stare qui, è partito per l’America. Ha suonato anche con Juliette Lewis, l’attrice e rocker».
Ha curato molto l’ambientazione del nuovo albo?
«Non è tanto sulla scenografia che mi sono concentrato, quanto piuttosto sulla recitazione. Mi piace curare le espressioni dei personaggi, le posture, i gesti. Rende una storia a fumetti più credibile».
Com’è iniziata la sua avventura con Nathan Never?
«Sono entrato nello staff di Nathan Never dall’inizio. Ero tra i disegnatori della serie quando ancora si lavorava sulle tavole di prova. Poi ho debuttato con il numero 5, “Forza invisibile”, la storia scritta da Michele Medda».
Amava disegnare già da ragazzino?
«Credo di avere iniziato a copiare Tex a dieci anni. Ancora oggi mi restano nel cuore due storie su tutte: “Tamburi di guerra” e “Giubbe rosse”. Dopo il Liceo artistico Parini di Pordenone, mi sono messo a inventare avventure tutte mie: la prima, pubblicata sul “Messaggero dei Ragazzi”, aveva per protagonista Alex il Britanno».
Disegnatore e anche pittore?
«Ho dipinro molto, ho fatto parecchie mostre. E non ho mai visto questi due modi di esprimere la propria creatività distanti tra loro. Quando crei una storia a fumetti lavori sulla sceneggiatura di un altro. Devi disegnare macchine, animali, uomini. Diventi, insomma, un regista con la matita. Il pittore, invece, inventa quello che gli piace»,
Difficile entrare alla Bonelli?
«Per me, sinceramente, no. Ho incontato Sergio Bonelli a un’edizione di Treviso Comics. Lui è stato gentilissimo, ha guardato subito la cartellina con i miei lavori. Mi ha parlato di una serie nuova, quella di Nathan Never, chiedendomi di mandare dei disegni a Milano. Quelle tavole sono arrivate tra le mani dei tre sardi, Medda-Serra-Vigna, e da lì è iniziata la collaborazione. Ancora oggi, conservo di Bonelli un ricordo pieno di stima e riconoscenza».
Che tavole aveva spedito?
«Quelle dedicate a Lacombe, un attore di film porno culturali che si muoveva nella Parigi anni Trenta. Da allora, per Nathan Never ho disegnato una ventina di storie».
E il cinema?
«Ho provato anche quella strada. Con Emanuele Barison, disegnatore di Diabolik, abbiamo girato “Rockstalghia” sulla Pordenone degli anni ’80 e il Great Complotto. Poi “Cinque”, un cortometraggio girato a Barcis con i ragazzi del posto, è finito a Cannes grazie alla Real Studio di Los Angeles che l’ha prodotto. Il bello è che è parlato nel friulano di lì».
Non poteva mancare la scrittura...
«Adesso ho pubblicato su Amazon una favola noir, “Che ne sa un proiettile dell’amore”. Non ho fatto fatica a non disegnare perché mi sono divertito a inventare le cose con le parole».
Perché ha scelto Trieste?
«Dopo Pordenone, ho vissuto a Barcis per otto anni: avevo bisogno di natura. Ma a un certo punto mi sono reso conto che volevo tornare nel mondo della cultura. Adoro la musica classica. Sono arrivato a Trieste nell’aprile 2014 e da allora ho visto un sacco di concerti. E poi, amo lo stile di vita dei triestini. In Friuli, quando qualcuno va in pensione è come se la vita fosse già finita. Qui, al contrario, deve appena iniziare».
Progetti?
«Stiamo lavorando a una graphic novel, “La sposa del lupo”, ambientata in Valcellina, accompagnata dalle musiche di Paolo Mizzau e Matteo Titotto, prodotta da Moreno Buttinar. E poi, a maggio, inagurerò una mia mostra al Caffè San Marco».
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