Romano De Marco va a caccia di anime «Basta detective tristi. Il mio è Superman»

Esce per Piemme il decimo libro dell’autore bestseller. «Nel prossimo parlerò di favoritismi e scandali sessuali. Chissà se lo pubblicherò» 
ROMANO DE MARCO
ROMANO DE MARCO

L’INTERVISTA

Mary B. Tolusso

Il giallo è un genere, certo, ciò non significa che la lingua non abbia un suo ritmo e ci trascini dentro la storia quanto una trama avvincente. Romano De Marco di noir, thriller e poliziotteschi ne ha già scritti dieci, l’ultimo, “Il cacciatore di anime” (Piemme, pag. 288, euro 17,50) ha tutti i numeri per coniugare cultura e intrattenimento con una storia inquietante, ma mai morbosa, una storia ambientata in un luogo reale inoltre, Peccioli: «Volevo omaggiare questo straordinario paese», dice. È lì che muove i suoi protagonisti: il capitano Rambaldi e l’ex poliziotto Angelo Crespi, alle prese con un serial killer che sceglie di allestire i suoi omicidi come delle grandi opere d’arte. De Marco di mestiere è dirigente responsabile della sicurezza di uno dei maggiori gruppi bancari italiani, ma il suo secondo lavoro è indubbiamente lo scrittore. Ha esordito con Mondadori nel 2009, pubblicato nelle maggiori case editrici e ha già vinto due Premi dei lettori Scerbanenco.

È al suo decimo romanzo. Può dirci le regole basiche per scrivere un giallo?

«William S. Maugham diceva che esistono tre regole per scrivere un romanzo di grande successo, il problema è che nessuno le conosce. A parte questi aneddoti, per quanto riguarda il giallo, quindi il romanzo di genere, esistono ventotto regole, ancora oggi utilizzabili e sono quelle che scrisse Van Dine. Io vado sempre a pescare lì perché il giallo, il thriller è un genere molto tecnico, le regole le devi seguire, hai un margine di movimento ma la struttura deve essere quella. Non puoi metterti in testa di destrutturare, è un lavoro che possono fare solo i geni come Dürrenmatt, gli scrittori con la testa sulle spalle no, devono seguire le regole».

“Il cacciatore di anime” ha un incipit davvero inquietante, ma non c’è mai un eccesso gratuito nelle sue storie. Questa come le è venuta in mente?

«Per scrivere dei buoni romanzi di genere devi rifarti sempre a un topos. Avevo sempre in mente questa storia dell’ex poliziotto che si è ritirato e dopo molti anni viene richiamato dentro a un’indagine e non è certo una cosa inventata da me. Questo topos è già stato raccontato tante volte in modi diversi e ciò significa che funziona. Avevo appunto in mente questa cosa, il vecchio detective scappato dal suo mondo, in più avevo trovato l’ambientazione adatta».

Infatti ha scelto Peccioli, un piccolo paese toscano dove la natura si confonde con la cultura…

«Volevo proprio fare un omaggio a Peccioli, questo paese straordinario con cui ebbi i primi contatti nel 2016. È un luogo speciale, abitato da 5000 persone e dove il profitto di una discarica che serve tutta la valle, viene reinvestito in cultura. È una specie di modello virtuoso. Mi sono innamorato di quella terra e inoltre era il posto perfetto per collocare un personaggio che voleva nascondersi dal mondo».

Il capitano Rambaldi, un po’ come tutti i suoi investigatori, ha un carattere frontale, dei problemi affettivi ed è irresistibile. Lei non trascura mai il lato sensuale dei suoi protagonisti.

«Questa cosa viene da lontano. A partire dagli anni’90 in Italia c’è stata, e forse c’è ancora, questa mania di raccontare poliziotti e detective come degli infelici. Una volta Raul Montanari mi raccontò che in una conversazione con Ammaniti erano d’accordo sul fatto che si erano stancati di questi investigatori tristi e problematici, tanto da dire: se devo scrivere un giallo ci metto Superman. Sono d’accordo. Prima ancora di produrre libri, ho sempre pensato di costruire il profilo del mio poliziotto come un personaggio forte, interessante, pur con i suoi limiti».

I suoi libri hanno sempre ritmo linguistico, senso dell’ironia e dialoghi perfetti, nel “Cacciatore di anime” c’è anche un romanzo nel romanzo grazie ad Angelo Crespi, che forse è il personaggio più tragico. Com’è nato?

«Io sono un appassionato di quei personaggi che hanno un passato molto forte. Anche se viene solo accennato, il carico di questo peso che portano sulle spalle traspare, se il narratore lo sa comunicare, anche se non dice tutto e infatti i precedenti casi di Crespi vengono solo accennati. Spero di essere riuscito a trasmettere tutta la tragica esperienza di questo personaggio, che appunto mi appassiona molto».

Ne “Il cacciatore” troviamo una frase che allude al narcisismo di tutti gli scrittori. Forse è una condizione un po’ necessaria per scrivere?

«Assolutamente sì. Il narcisismo, l’egocentrismo, il desiderio d’amore insomma, la necessità di farsi amare. Il mio prossimo romanzo affronta proprio questo tema. È una specie di thriller ambientato nel mondo dei narratori di genere, c’è molta realtà e molte citazioni autentiche, sono piuttosto critico e autocritico rispetto al mondo di cui faccio parte. Non so come e quando lo pubblicherò, rischio anche molte querele, parlo di alcuni scandali sessuali, favoritismi, temi scottanti, però chi l’ha letto si è molto divertito».

Scrive anche che i libri sono una grande consolazione. Quali sono i suoi?

«Ci sarebbe una lunga lista, ma se devo citare due autori, cioè due maestri, direi Kafka e Giuseppe Pontiggia, quest’ultimo secondo me è un grande autore, sottovalutato per la sua stessa grandezza. Questi sono un po’ i miei numi». —



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