Robert Capa a Trieste gli scatti dimenticati dello sbarco in Sicilia

Beatrix Lengyel: «Per l’esposizione ho scelto  immagini importanti anche come documento storico»
Robert Capa 937; 536.WAR.ITA.032; 43-4-28; 1943
Robert Capa 937; 536.WAR.ITA.032; 43-4-28; 1943
Nel documentare la distruzione bellica, la fila per l'acqua nelle città bombardate è da sempre una delle testimonianze più potenti e iconiche che colpiscono il nostro immaginario, con i fotoreporter a fare a gara per ritrarre il serpentone più lungo e corposo. Ma c'era chi, in controtendenza, sceglieva di concentrare l'obiettivo su tre persone soltanto: uno sguardo denso di umanità e partecipazione che si andava a posare su due anziani e un ragazzo, stretti nei loro abiti lisi e nelle scarpe rotte, con la fila appena suggerita, in un sorprendente dettaglio, nel riflesso di una fiasca di vetro. La coda per l'acqua nella Napoli bombardata del '43 è solo una delle folgoranti immagini che compongono
“Robert Capa in Italia”
, la mostra sul grande fotoreporter appena inaugurata all'Alinari Image Museum al Bastione Fiorito del Castello di San Giusto di Trieste. Fotografie originali scarsamente conosciute e la prima volta per la multimedializzazione di un'ampia selezione di immagini sono i fiori all'occhiello dell'esposizione, che gode anche di postazioni interattive, mappe, timeline, immagini stereoscopiche con dettagli in 3D, materiali fotografici e di stampa che permetteranno di contestualizzare la figura di Capa e il suo lavoro ancora poco noto durante la seconda guerra mondiale in Italia. La mostra, aperta fino al 17 settembre, è organizzata e prodotta dalla Fratelli Alinari Fondazione per la Storia della Fotografia e dal Museo Nazionale Ungherese di Budapest di cui fa parte Beatrix Lengyel, curatrice della mostra triestina.

Com'è nata la mostra?

«L'eredità di Capa - risponde Beatrix Lengyel - si trova a New York, dove il fratello Cornell e il biografo Richard Whelan hanno istituito l'International Center of Photography, con più di 70 mila negativi. Da questo patrimonio biografico hanno scelto 937 foto per organizzare una delle tre “Master Selection”. Negli anni '90, infatti, hanno sviluppato le foto con la sua firma e la stampa del negativo originale è stata realizzata solo in tre copie: oltre a New York, sono a Tokyo, acquistate dalla Fuji, e a Budapest, comperate dal dipartimento della fotografia storica del Museo Nazionale Ungherese dove lavoro. Ho notato che nel corpus c'era un'ottantina di immagini che non si conoscevano affatto: una parte, quindi, piuttosto rilevante. Capa è noto soprattutto per le foto dello sbarco in Normandia: famose in tutto il mondo, perfino Spielberg le ha ricreate identiche in “Salvate il soldato Ryan”. Ma è riduttivo legare il suo nome solo a quel momento: perché di sbarchi in Italia con gli Alleati, a cavallo del biennio '43-'44, Capa ne ha fatti ha fatti ben tre: in Sicilia, dov'era arrivato non sappiamo come, a Salerno nel settembre '43 e poi, quando il fronte si è fermato a Montecassino, nel gennaio '44 è andato ad Anzio. Credo sia molto importante per gli storici italiani, perché sono fotografie anche documentarie: Capa certamente aveva l'occhio dell'artista ma non era un artista bensì un fotografo, un documentarista che voleva raccontare la realtà».

Come ha organizzato il percorso espositivo?

«Vedendo lo spazio dell'Alinari Image Museum ho scelto per prima una foto eterna, realizzata da Capa vicino a Troina. Si tratta di un soldato che procede solo, stagliato nel nulla, immerso in tutta la sua solitudine: è un'immagine fortissima, che può stare all'inizio come alla fine. Poi viene seguito il percorso del fotoreporter in Sicilia, le rovine di Agrigento, la resa di Palermo: il comune denominatore, comunque, è di far emergere soprattutto il lato umano del suo lavoro».

Come mai questa attenzione?

«Perché a Capa interessava moltissimo documentare questo aspetto. Nelle sue foto possiamo passare in rassegna i volti delle persone, vedere i generali come tanta gente comune. Aveva questo punto di vista molto speciale: gli interessava mostrare cosa faceva la gente in tempo di guerra, come viveva la sua quotidianità nelle strade e nelle piazze, come cercava di mettere in atto i gesti di ogni giorno nonostante tutto ciò che la circondava. Il recuperare comunque uno scampolo di normalità, a tutti i costi. Ce ne sono di meravigliose, a volte sembra di stare dentro un film di Fellini».

Quali altri momenti storici importanti immortala Capa?

«È sicuramente di grande impatto la sequenza della resa di Palermo, con l'arrivo delle truppe a Monreale strette dalle ali di folla. Più tardi, mentre gli alleati andavano verso Messina, c'è stata una grande battaglia a Troina. Il punto strategico era la sommità di una collina, i tedeschi conquistavano tutti i punti forti e vi è stato un assedio lungo una settimana. Capa ha seguito tutto questo nei minimi dettagli e dalle foto si percepisce nitidamente come quella fosse una terra difficilissima per i soldati, pericolosa ed esposta».

Cosa si sa dei soldati ritratti?

«Capa era abbastanza preciso, tante volte ha addirittura annotato i nomi dei soldati che immortalava. In mostra indichiamo ad esempio John Armellino, di origine italiana. Capa fotografava e spediva i rullini a Londra, poi le foto andavano su “Life”, che dava le informazioni visive in anni in cui non c’era la tv. “Life” informava la gente negli Usa su ciò che accadeva sul fronte europeo: c'erano 50mila persone che lo leggevano abitualmente e seguivano le sorti dei loro figli in Europa durante la guerra. In più la rivista era molto equilibrata, senza pendere dall'una o dall'altra parte».

Che altre caratteristiche si possono individuare nelle foto?

«Che Capa avesse un certo spirito, nonostante tutto. Ma soprattutto si capisce l'importanza di trovare la posizione da dove scattare. Per lui era importante il tema e il dove, la vicinanza all'oggetto e poi il movimento, il seguire il soggetto: i movimenti del corpo danno la possibilità di percepire meglio chi è ritratto. L'importanza della posizione si vede nella famosa foto della presa di Troina: Capa ritrae sì i soldati ma da lato, con la vittoria alata sullo sfondo, stremati tra le rovine e la desolazione: ecco cosa significa la vittoria, quanta distruzione, che prezzo altissimo da pagare».

Ci sono anche foto non belliche da cui traspare tutta la sua pietas.

«Da Salerno a Napoli ci sono diverse foto di civili. Colpiscono i dottori seminudi mentre assistono un ferito: gente che stava in piedi 24 ore su 24 per tentare di tenere in vita i feriti in una chiesa divenuta ospedale. Sono foto scattate non per le gallerie ma per la riviste, sono semplicemente vere».

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