Ritorna “Notti e Nebbie” il fascismo al capolinea nella Milano di Castellaneta

La recensione
Tetra, decadente, marcia quasi stesse andando in putrefazione. È una città che sta lentamente sprofondando nel buio, la Milano raccontata proprio da uno dei suoi figli, lo scrittore e giornalista Carlo Castellaneta, che più l'hanno amata e celebrata nelle proprie opere. Oggi, a sei anni dalla scomparsa (a Porpetto, dove era andato a vivere nel 2006 dalla moglie friulana Caterina Zaina) viene rieditato da Interlinea "Notti e nebbie" (pagg. 231, euro 15), il primo romanzo italiano, come osserva Ermanno Paccagnini che ne cura la postfazione, a «raccontare il tragico periodo di Salò e della resistenza con la voce narrante di chi aveva scelto regime». Uscito nel 1975 per Rizzoli, il bel noir dell'autore meneghino torna, sottolinea ancora il curatore, a rappresentare «situazioni del passato che si vedono riproporsi nel presente»: un'attualità di cui si parlerà domani alle 18 al Caffè San Marco di Trieste, dove il figlio dello scrittore Dario Castellaneta dialogherà con la giornalista del Piccolo Arianna Boria. Sono flussi narrativi che possono lasciare disorientati, senza fiato, che mettono addosso una reale e costante inquietudine, quelli che compongono gran parte del racconto sotto forma di memoriale. Colpiscono subito e lasciano quasi storditi: costruiti stilisticamente senza un solo punto e scanditi unicamente da virgole, febbrili e urgenti, arrivano al lettore come autentici flussi di coscienza. Perché a raccontare la Milano dell'occupazione nazista è proprio un commissario della polizia politica, quarantenne che crede profondamente negli ideali fascisti e che è travolto da una parte dalla progressiva avanzata degli Alleati da sud, dall'altra dalla corruzione dilagante, ovunque e nel suo stesso corpo, in una situazione sempre più fuori controllo. «A volte mi entusiasma e a volte mi sgomenta - incalza il monologo - il compito che ho davanti, intervenire pulire stroncare con il bisturi su di un corpo ovunque minacciato dalla cancrena, mentre intorno a noi cresce l'odio, l'omertà dei cittadini il disfattismo, il tradimento contro cui non abbiamo altri mezzi che la violenza e il terrore». Terrore che si esprime con esecuzioni simulate dei prigionieri o torture con l'elettricità, bagnando le vittime per aumentare l'intensità della scarica. "Maiali bolscevichi" o "fottuti badogliani" che siano, son tutti da punire «finché pisciano sangue». Roma è già caduta, «e meno male», sottolinea a un certo punto l'io narrante, perché era ormai «covo di spie, cagasotto e traditori già pronti a mettersi al servizio del vincitore, come gli italiani han sempre fatto nella loro storia». Storia grande e piccola che si fonde armoniosamente nella prosa di Castellaneta, «da buon poeta della realtà minore e storico del fango e del sangue che sta sotto la nostra storia ufficiale» come scrisse Carlo Bo recensendo il romanzo sul "Corriere".
È un'atmosfera da fine del mondo, grondante disperazione e degradazione anche nel rapporto del protagonista con il mondo femminile, che gli fa esprimere il suo volto più oscuro, vorace, laido: non si fa mancare uno stupro, riflettendo che «non esiste violenza carnale senza un minimo di consenso». E se Patria e Famiglia franano, il rapporto con Dio è stravolto: «Ho sempre venerato il Signore come appare nelle sacre scritture, un dio vendicativo che non perdona, non conosce misericordia». Fortemente evocativo nelle descrizioni d'ambiente - la cappa densa di nebbia che inghiotte e toglie il respiro, l'ultima corsa del tram prima del coprifuoco, il cielo di piombo su tutto - "Notti e nebbie" non poteva passare inosservato al mondo del cinema, tanto che il regista Marco Tullio Giordana ne ha tratto una miniserie tv su sceneggiatura dello stesso Castellaneta. Paccagnini sottolinea opportunamente il gusto «viscontiano» della prosa, per come sa esaltare la decadenza morale di quella società in putrefazione: curiosamente l'autore stesso annotava "La caduta degli dei" del maestro come possibile titolo del romanzo, prima di scegliere il definitivo che cita il documentario capolavoro di Alain Resnais sull'Olocausto. —
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