Rita dalla Chiesa ritratto di famiglia con l’eroe che sapeva essere geloso

Nel libro “Il mio valzer con papà” la giornalista rievoca il rapporto con il generale Carlo Alberto ucciso dalla mafia



C’è tutto l’amore possibile nelle parole di Rita dalla Chiesa, figlia maggiore di Carlo Alberto, il generale che ha trascorso una vita in prima linea contro il terrorismo e la mafia. A 38 anni dalla sua morte, avvenuta per mano di Cosa Nostra a Palermo dove era diventato prefetto, la giornalista e conduttrice tv ha pubblicato il libro “Il mio valzer con papà. Un ritratto famigliare del generale dalla Chiesa” (Rai Libri, pagg. 208, euro 16), compiendo un delicato salto nel tempo, dall’infanzia fino a quel tragico 3 settembre 1982. La gelosia reciproca, la stima per il padre, la comprensione delle sfumature più dure del suo carattere, le stesse che Rita dalla Chiesa rivede in se stessa. Attraverso i suoi occhi, esce il ritratto di un uomo forte e romantico, che non ha mai smesso di amare la sua famiglia e servire lo Stato, fino al suo ultimo respiro. Rita dalla Chiesa presenta il libro a Pordenonelegge sabato alle 21, al Teatro Verdi in collegamento streaming intervistata da Valentina Gasparet (anche in differita domenica alle 17).

Scrivere questo libro l’ha aiutata a recuperare episodi che erano rimasti nel cassetto?

«Inizialmente - risponde Rita dalla Chiesa - ho fatto fatica a scavarmi dentro. Poi è stato come se avessi ricominciato a vivere alcuni momenti, soprattutto della mia infanzia e dell’adolescenza, periodi molto felici. Ricordavo quasi tutto ma dovevo mettere ordine, così mi è capitato di telefonare a mia sorella Maria Simona e a mio fratello Nando per farmi aiutare».

I continui trasferimenti, l’angoscia per le minacce ai tempi delle Brigate Rosse, una vita spesso condizionata dalla paura. Eppure, lei e i suoi fratelli, non avete mai perso l’orgoglio per il vostro cognome. Quali valori vi ha trasmesso vostro padre?

«La solidarietà innanzitutto. E poi il rispetto per quello che ci veniva detto a casa, per le regole e le istituzioni, per l’Arma dei Carabinieri. Una grande eredità è stato poi il fatto di essere liberi mentalmente: ognuno di noi, infatti, ha sviluppato idee diverse, possiamo litigare un po’ ma il grande amore che ci unisce fa sì che ci sentiamo regolarmente, ogni giorno».

Quanto è stato difficile tutelare sua figlia Giulia dal pressante pericolo a cui eravate sottoposti?

«Io continuavo imperterrita a portarla a scuola a piedi, a farle frequentare le sue amichette. Ho scoperto poi che un carabiniere “di papà” mi seguiva sempre da lontano. Mio padre ci dava indicazioni precise e mi diceva: “guarda sempre lo specchietto per controllare se qualche macchina ti segue. Se lo fa per più di due isolati tu vai dritta dentro a una caserma”. Pensi, lo faccio ancora oggi. Mia madre, invece, non resse il timore di perdere mio padre e morì a 52 anni, di infarto».

Tra le sue prime simpatie ci fu Bruno Lauzi che scrisse per lei “Il tuo amore” con cui andò a Sanremo nel 1965. In che modo suo padre ha vissuto i suoi amori?

«Il primo benissimo, perché era il figlio di un tenente dei carabinieri. Era comunque molto geloso e i ragazzi con cui uscivo erano sottoposti a degli screening davvero pesanti (ride, ndr). Lauzi fu per lui una vera preoccupazione, usciva dai canoni, aveva dieci anni più di me. Bruno, però, mi aprì la mente sul mondo artistico e musicale».

Lo spessore di suo padre emerge anche nella capacità di dialogo con Patrizio Peci, primo pentito delle BR. Un po’ come fece il giudice Giovanni Falcone con il collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta.

«Patrizio Peci voleva parlare solo con papà perché aveva capito che lui lo avrebbe potuto aiutare, se non altro a comprendere i motivi per cui era finito dietro a quelle sbarre. Infatti quello che si chiedeva papà era come mai un ragazzo come lui potesse essersi ritrovato in quella situazione».

E infine l’incontro con Emanuela Setti Carraro, la seconda moglie di suo padre, che morirà con lui nell’attentato. La prima volta in cui gliela presentò, lei rimase talmente colpita che iniziò a tagliare, quasi compulsivamente, tutte le melanzane che trovò nel frigo.

«Sì, ero gelosa, a distanza di anni lo posso ammettere! Emanuela però era una ragazza molto dolce e intelligente e ha saputo conquistare presto anche me. Mi spiace solo che non abbia dato retta a mio padre quando l’ha pregata davanti a noi di non seguirlo per il momento a Palermo perché voleva che la situazione fosse più sicura. Ma lei diceva “ci siamo appena sposati e io ti seguo”. Purtroppo, lui ebbe ragione».

Cosa ritrova in se stessa di suo padre?

«La testardaggine, il senso della giustizia. Mi danno fastidio le persone che non ascoltano per partito preso e non danno retta a una cosa giusta se detta da uno che per loro è sbagliato. Credo di aver ereditato da mio padre la capacità di poter cogliere la buona fede delle persone». —

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