Ridley Scott: «Adamo ed Eva sono androidi alieni nella mia Nuova Umanità»

19/12/2017 Beverly Hills, premiere del film Tutti i soldi del mondo, nella foto Ridley Scott
19/12/2017 Beverly Hills, premiere del film Tutti i soldi del mondo, nella foto Ridley Scott



Atmosfere rarefatte che rimandano alle lande deserte di Prometheus, ruderi da archeologia futuristica e androidi programmati per mantenere vivo il genere umano su un pianeta vergine. Ridley Scott, per la prima volta alla regia di una serie tv, Raised by The Wolf-Una Nuova Umanità (su Sky Atlantic dall’8 febbraio e in streaming su Now Tv) dosa distopie e dialoghi lapidari. «Mi piace tutto del mio lavoro - spiega il regista, 83 anni, che i mesi scorsi ha concluso le riprese di The Last Duel con Ben Affleck e Matt Damon -. Amo alzarmi ogni mattina sapendo che la giornata sarà piena di sfide. Ecco perché lo faccio. Se non accetti lo stress, non puoi fare questo lavoro. Penso che sia un po’ come essere un pilota: se non ti piace andare veloce, non farlo». Prosegue il regista britannico: «L’esperienza conta, invecchiando si impara a essere sempre più veloci. C’è chi esaurisce la sua creatività o si stanca…».

Non certamente Scott. La serie da lui prodotta e diretta (sua la regia dei primi due episodi) e scritta dallo sceneggiatore di Prisoners Aaron Guzikowski, anche showrunner del progetto, è stata già rinnovata per una seconda stagione. «Stavo leggendo lo script, ero a metà del primo episodio e ho pensato che quello immaginato da Guzikowski fosse un modo originale di pensare a un nuovo mondo. A poco a poco mi sono appassionato. Di solito mentre leggo, comincio a prefigurarmi le immagini. E così è successo, ho iniziato a disegnare lo storyboard nella mia mente poi l’ho messo su carta. Ho deciso che volevo stabilire il ritmo della storia».

La firma di Ridley Scott si legge tra le righe fin dalle primissime scene tra stratificazioni spazio-temporali e, come nell’astronave Nostromo di Alien, rapporti umani e non umani di interdipendenza, dinamiche che evocano legami famigliari e affettivi. Il potere è in mano a due androidi qualificati solo per la loro funzione procreativa, Mother e Father. È nel loro esitare tra il compito per cui sono stati creati e le emozioni che la mimica facciale tradisce che si snoda la storia. «In un certo senso è un’idea simile a quella che muove il personaggio di Ash in Alien, responsabile di una risorsa di grande valore. Cosa c’è di meglio che affidare a due bio-meccanoidi diciotto embrioni che potrebbero costituire una gran parte del nuovo mondo? Gli androidi sono potenzialmente indistruttibili. Si vuole che vivano a lungo per assicurarsi che i bambini abbiano più possibilità. Amo quando la logica entra nell’immaginazione, rende la fantasia molto più potente».

Tra echi a capolavori come Metropolis di Fritz Lang e alle sculture di H.R. Giger - quando la pelle di Mother si fa argentea, gli occhi vitrei e lei spicca il volo come un angelo cyberpunk - il potere della serie risiede anche nell’interpretazione di Amanda Collin e Abubakar Salim. «Mettere la storia su carta è la cosa più difficile. La sfida successiva è stato il casting. Avevo l’immagine di Mother in mente prima di incontrare Amanda Collin, non è affatto androgina ma continuavo a pensare a David Bowie. Ecco perché ha i capelli corti e rossi. Father, invece, doveva essere il completo opposto, volevo qualcuno bello come Harry Belafonte». Nei set di Ridley Scott il processo di creazione ha più connessioni con il mondo odierno di quanto ci si aspetterebbe. «Quando ho accettato il progetto un mio amico, Michael Mann, mi ha detto: “No, non devi. Dovrai scegliere le magliette, le pistole, i calzini, tutto. Lo odierai”. Non pensavo che l’avrei odiato, anzi, sono un fanatico dei dettagli». « Metaforicamente Mother e Father sono Adamo ed Eva quindi, in teoria, avrebbero dovuto essere nudi ma ho pensato che non avrebbe funzionato. Un giorno, poi, stavo andando a pranzo a Londra, a Soho e sono passato davanti a un negozio. Era uno di quei sexy shop e nella vetrina c’era una tuta elastica. Ho detto a qualcuno: “Non ho intenzione di entrare lì dentro, ma vai subito a comprare un vestito, voglio vedere che aspetto ha”. Gli abiti elasticizzati sono stati inizialmente impegnativi perché non lasciano molto all’immaginazione. Ma è incredibile quanto velocemente si superi questo aspetto e si entri nei personaggi». Ora che quei giorni sul set sono un lontano ricordo, cosa resta? Tornerebbe a dirigere un progetto di una serie tv? «Sì, il tempo a disposizione per far evolvere una storia è maggiore». —



Riproduzione riservata © Il Piccolo