Raja Alem, una donna che sfida scrivendo i profeti del terrore

Peter Høeg a Pordenonelegge: «Per anni ho lavorato a una storia ma poi ho buttato quelle duemila pagine»
Di Alessandro Mezzena Lona

ALESSANDRO MEZZENA LONA. Una banda di alieni si è impossessata della bandiera dell'Islam. Uccide nel nome del Corano, terrorizza l'Europa e l'Occidente, semina un verbo di morte. Ma non ha nessun titolo per ergersi a rappresentante di tutti i musulmani. Chiedetelo a Raja Alem. L'autrice che ha vinto l'International Prize for Arabic Fiction, con il romanzo "Il collare della colomba", non ha dubbi. Perché lei, quel mondo, lo conosce bene. Viene da una ricca famiglia dell'Arabia Saudita conosciuta come “quelli che sanno”. Vive tra Gedda e Parigi, ha scelto di dedicarsi alla letteratura pur sapendo che nel suo mondo le donne intellettuali non sono gradite. Scrive libri in arabo e in inglese, non porta il velo e non è d'accordo con chi vuole mescolare gli affari dello Stato con le cose religiose.

A Pordenonelegge Raja Alem è arrivata senza sapere nemmeno dove fosse il Friuli Venezia Giulia. In compenso ha imparato in fretta a pronunciare il "complicato" nome della città che ospita il festival. E ieri ha regalato ai lettori l'anteprima del suo nuovo romanzo "Khatem", pubblicato da Atmosphere Libri, storia di una bambina che nasce con il corpo di un ragazzo. E che solo dopo un lungo percorso di formazione, che la porterà a lasciare la ricca famiglia alla Mecca per esplorare il mondo degli ultimi, riuscirà a capire la sua vera natura.

«Quando ci sono stati gli attentati a Parigi, mi sono imposta di uscire, di andare al cinema - ha raccontato Raja Alem, accompagnata a Pordenone dalla sorella -. Ero e sono convinta, infatti, che non dobbiamo farci dettare i tempi della nostra vita da chi conosce soltanto la logica del terrore, degli attentati, degli omicidi».

Per questo non può essere d'accordo con chi usa la religione per conquistare potere. «Credo che nel mondo arabo ci siano molti intellettuali, tante persone che resistono all'imbarbarimento dell'Islam. Di recente sono stata a Riad, una città conservatrice che mi ha stupito per il fermento di attività di molte donne. Aprono piccole aziende, vendono i loro prodotti. E poi non dimentichiamo che, grazie alle borse di studio, quasi 200mila giovani sono andati di recente a studiare all'estero. Poco meno della metà erano ragazze».

A dire il vero, Raja Alem non ama molto questo continuo parlare di uomini e donne. «Siamo esseri umani», taglia corto.

Come a Peter Høeg non piace sentirsi trattare da guru. Certo, il suo romanzo "Il senso di Smilla per la neve" è stato un successo planetario. Però se gli chiedono di esprimere un’opinione su temi strettamente politici, economici, si ritira nel suo guscio. «La Danimarca, il Nord dell'Europa se la passano molto meglio di tanti altri Paesi. Ma se poi vedo che i bambini muoiono ancora di fame, che la Terra si sta riscaldando sempre più, posso davvero essere felice?».

Il suo nuovo romanzo "L'effetto Susan" (Mondadori), che viene presentato oggi alle 11.30 nel Convento di San Francesco, porta in scena una donna dotata di un potere eccezionale: quello di far emergere il lato migliore delle persone quando stanno con lei. Sarà proprio la Susan del titolo a dover smascherare un complotto internazionale, in cui è rimasta invischiata la sua famiglia, prima che il mondo si incammini verso l'apocalisse.

«Donne così ne ho conosciute. E mi sono sempre chiesto: come fanno a tirare fuori il meglio dagli altri? Del resto, io stesso ho dovuto imparare a non accontentarmi. Per cinque anni ho scritto una storia che sapevo bene non avrebbe funzionato. Un giorno mi sono deciso: ho buttato duemila pagine tra i rifiuti. E mi sono rimesso a lavorare, questa volta per ottenere un libro valido».

Tre sono i punti cardine della vita di Høeg, 59 anni, danese di Copenaghen: l'amore per le persone care, i libri e la meditazione. Con il cinema, invece, per il momento ha interrotto ogni rapporto.

Chi al cinema ha portato una storia di grande forza tragica, dimenticata in fretta, è lo scrittore e regista palermitano Francesco Zarzana. Con “Tra le onde nel cielo” ha raccontato al Festival di Cannes la tragedia di Brema del 1966, in cui perse la vita la meglio gioventù del nuoto italiano, tra cui il triestino Bruno Bianchi.

A Pordenonelegge, invece, ha portato il suo nuovissimo libro “La tifosa di Messi” (Edizioni A.Car.) scritto insieme a Francesca Mazzei. Madre di uno straordinario ragazzo, Francesco Messori, nato con una gamba sola, che ha trovato la forza, in sé e nella famiglia, per provare a essere normale. Tanto da diventare uno dei punti di forza della nazionale di calcio amputati, incontrare per due volte il suo idolo Lionel Messi, e farsi tatuare sul collo un messaggio che irride la sfortuna: “It's only one less leg”, è solo una gamba in meno.

«Francesco ha sempre rifiutato di usare la protesi, gioca usando le stampelle e non si arrende mai - ha raccontato Francesco Zarzana -. Tanto che adesso sogna di poter partecipare alle Paralimpiadi di Tokyo 2020. Quando è riuscito a incontrare Messi, prima in Italia e poi a Barcellona, si è fatto firmare dal campione il braccio. Per una notte ha dormito tutto rigido, il giorno dopo ha fatto trasformare l'autografo in un tattoo».

Dopo sette romanzi in cui ha raccontato le vite ai margini, Massimiliano Santarossa si è sentito pronto per affrontare un tema su cui stava rimuginando da tempo: il crollo del ceto medio, da Trieste fino a Torino, sotto i colpi implacabili della crisi economica. È nato così il suo nuovo, corposo libro intitolato “Padania” (Biblioteca dell'Immagine), di cui si parlerà oggi alle 15.30 al Ridotto del Teatro Verdi. «Ricordiamo tutti quando il Nordest era un modello di produttività e benessere invidiato dall'Europa - dice -. In pochi anni è sparito quel mondo. I ricchi sono rimasti intoccati, i poveri stentano ancor di più, e il ceto medio non sa nemmeno se potrà aspirare ancora a un futuro». Romanzo sì, ma con un apparato di numeri, grafici e spiegazioni per dare conto del rapidissimo tramonto di un simbolo del perduto benessere economico.

E chi vuole farsi un'idea di quanto l'Italia abbia cavalcato male gli anni della crisi deve leggere “L'economia nella mente” (Raffaello Cortina Editore), scritto dal responsabile dell'inserto culturale del “Sole 24 Ore” Armando Massarenti e da Paolo Legrenzi, professore emerito di Psicologia alla Ca' Foscari di Venezia, chiamato da Londra all'Università di Trieste negli anni '70 dal grande Gaetano Kanitsa.

Se ne parlerà oggi alle 10 a Palazzo Montereale Mantica. «Si può evitare di farsi prendere in giro dalle banche - ha detto Legrenzi -. Basterebbe smetterla di investire in immobili, obbligazioni e titoli di Stato. All'inizio della crisi i mercati azionari erano scesi del 50 per cento, poi sono risaliti del 160. E nessuno se n'è accorto. Sempre perché, mossi dalla paura, ci aggrappiamo al risparmio fai-da-te».

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